La prima cosa è indubbiamente un grande senso di gratitudine verso le donne che hanno svolto il prezioso lavoro che ci ha consegnato materiale, occasione di incontro, la mostra e oggi questo convegno.
Mentre mi interrogavo sulle cose da dire oggi, mi è venuto spontaneo ripensare agli appuntamenti di queste settimane( e non solo); alla pubblicazione del libro “Donne e politica a Siena”; all’iniziativa organizzata lo scorso 7 settembre al Santa Maria della Scala, all’incontro di venerdì scorso promosso dallo Spi Cgil, ai volti delle tante donne che, con la loro voce, la loro forza e la loro passione hanno segnato la storia e lo sviluppo sociale e politico del nostro territorio.
E’ impossibile non riconoscere quanto sia stata grande la ricchezza femminile nella realtà senese e quanto lo sia ancora oggi. E’ stata vivace, vera, differenziata, viscerale, accomunata da un grande denominatore comune: la passione, quella forza interiore che unisce pancia e testa. Una ricchezza che ha coinvolto, ha appassionato altre, ha condotto e vinto battaglie importanti per la vita di tante donne comuni. E’ avvenuto nel dopoguerra, è avvenuto negli anni 70 e 80. Ha inciso.
Ed oggi? In una società in uno spazio pubblico molto più fortemente femminilizzata di allora, qui, come nel resto di Italia, questa straordinaria ricchezza non riesce ad incidere con sufficiente forza.
Da tempo rifletto sulla domanda che Elettra Lorini ha fatto a me, ma anche a tutte noi, qualche mese fa: Perché le intelligenze e le ricchezze femminili non riescono a cambiare il mondo? Perché la potenza delle donne non si fa potere?
Sono domande attuali oggi più che mai, in questa fase difficile e ostile sul terreno delle decisioni politiche, fase nella quale la distanza tra politica e società è sempre più grande. E grande è la distanza tra le donne e la politica.
Provare a ragionare, a dare il mio contributo sul tema che mi è stato affidato mi porta qui. Mi porta a ragionare sullo spazio politico di questo Paese, a chiedermi chi lo abita e chi lo determina, alla crisi profonda di questo spazio, alla denigrazione diffusa di ogni regola, dei luoghi istituzionali, di chi fa politica, ad una crescente separatezza con la vita quotidiana, a quella crisi che ti lascia senza risposte soddisfacenti di fronte a normali e banali domande di senso sulle condizioni materiali. Uno spazio politico che ha trovato impreparata la politica stessa di fronte all’irruzione di temi che erano stati accuratamente tenuti fuori (la nascita, la morte, il corpo, il dolore), oppure di fronte al crollo di dimensioni sulle quali si pensava di aver già detto tutto, come la crisi finanziaria ed economica che stiamo vivendo.
In questa crisi che indubbiamente pesa più sulla sinistra, visto che la destra ha indubbiamente più humus storico su cui lavorare nell’antipolitica, nel populismo e nella retorica moralista, le donne marcano una distanza ancora più grande.
Ma non si sono rifugiate in un guscio o una dimensione privata o casalinga, né, come abbiamo visto e letto in questi mesi, sono in silenzio. Le donne fanno politica, lo fanno attivamente sul fronte della scuola, della libertà di informazione, della laicità. Sempre più l’impegno politico e civile si esplica, però, al fuori dai partiti e delle altre forme di rappresentanza istituzionale.
Tutto questo è, a mio parere, impegno politico e civile, è opposizione. Questa distanza mi fa interrogare, ma non mi porta a drammatizzare nonostante io sia una donna impegnata in un partito ed una istituzione importante. Mi interroga perché vedo un non riconoscimento in termini di autorevolezza dei partiti e del potere politico, e credo che dovrebbe far interrogare ala politica tutta: uomini e donne. Mi parla, però, di una debolezza della politica e forse della nostra democrazia e mi sembra che in questa dimensione risieda uno dei limiti più grandi di questa epoca politica.
Perché questa distanza è andata così crescendo negli anni? Perché questa diffidenza nell’autorevolezza dei partiti e del potere politico è così diffusa fra le donne?
Domande che si ripropongono prepotentemente, anche alla luce del lavoro prezioso svolto fino ad oggi dall’archivio Udi di Siena, che, proprio in questi giorni, ci consegna una splendida mostra, dal titolo significativo “Le carte parlano: ricostruire la memoria per progettare il futuro”, accompagnata da un video emozionante. Materiale prezioso e avvincente, che fornisce subito un primo grande spunto di riflessione. Guardiamola la storia della terra di Siena, la riflessione – anche recente – e subito mi viene da confrontare il documentario dell’archivio con il contributo dei tanti politici maschi, dei tanti esponenti della sinistra che hanno scritto pagine di questa storia. Vedremo una differenza saltare agli occhi, e cioè che le donne rappresentano sempre la storia come “storia di tante” come la celebrazione fiera di un NOI, e molto meno come celebrazioni di singole persone.
Corallina, Rita, Anna, Tommasina e tutte le altre, sono donne comuni o sono donne potenti? Indubbiamente sono donne intelligenti, che si riconoscevano in un progetto collettivo al quale partecipavano tante, tantissime donne comuni, e quella era la “loro potenza”, l’avevano costruita assieme. Questo le rendeva forti. “Quando le donne si muovevano facevano paura”, ricorda Anna Giorgetti nel documentario. E’ uno dei passaggi che mi ha colpito di più perchè mi fa necessariamente interrogare sull’oggi, su dove siamo e su come siamo. Siamo impegnate in tante associazioni o nella politica; siamo curiose; abbiamo voglia di interrogarci e di approfondire; siamo brave nel nostro lavoro, ci curiamo di noi, dei nostri interessi, siamo colte e abbiamo voglia di accrescere le nostre conoscenza. Noi donne, insomma, ci siamo. E abbiamo compiuto tanti passi in avanti, dal dopoguerra ad oggi, nell’affermazione della nostra libertà e dei nostri diritti.
Secondo un articolo pubblicato dal Sole 24 Ore lo scorso 11 ottobre, “Nel mondo di oggi, rispetto al passato, ci sono molte più donne con potere, denaro e lavoro retribuito e queste tendenze hanno avuto un’accelerazione negli ultimi due decenni. Il numero di donne che occupano seggi in parlamento è attualmente del 50% superiore a dieci anni fa, e sono in aumento i capi di stato donna e quelle che occupano alte cariche di governo o posti di responsabilità nelle università e nelle aziende”. Secondo lo stesso articolo, il progresso più significativo delle donne non si è verificato tra l’élite politica, imprenditoriale o universitaria, ma nei milioni di donne che sono entrate a far parte della forza lavoro nel corso degli ultimi decenni, occupando, dal 1970 ad oggi, due posti di lavoro su tre fra quelli creati in tutto il mondo”.
Recentemente due ricercatori, David Richards e Ronald Gelleny, hanno eseguito un’approfondita analisi sull’impatto che la globalizzazione ha avuto sulle donne in 130 Paesi tra il 1982 e il 2003 e hanno concluso che, nella maggior parte dei casi, la globalizzazione economica si associa a un miglioramento della situazione delle donne.
Le statistiche citate, però, rivelano anche una realtà inammissibile, ossia che le donne stanno cercando di farsi strada, nonostante le ingiustizie e le discriminazioni, con una forte sperequazione tra salari, opportunità, autorevolezza, accesso all’istruzione, alla salute e, nei paesi più poveri, al cibo. La scorsa settimana a Roma c’è stato il vertice Fao e tra i dati voglio ricordarne uno: le donne produconoil 60% del cibo nel mondo, ma posseggono il 2% delle terre che questo cibo generano.
Per non citare i dati sulla violenza che due giorni fa abbiamo ricordato. Anche l’Italia non è ancora un Paese in cui la libertà femminile possa dirsi pienamente affermata.
Negli anni ’70 e ’80 una grande mobilitazione nel Paese, una grande discussione in Parlamento, nei partiti, un profondo conflitto tra i generi, ha portato a riforme profonde, all’affermazione di diritti fondamentali che hanno fatto crescere il Paese. Le società si sono femminilizzate, nel lavoro, nella politica, nell’economia…ma quanto oggi questa femminilizzazione produce cambiamento, conflitto? Perché il conflitto si è spento? Abbiamo pensato che non fosse più necessario?
Negli anni che hanno visto formarsi e svilupparsi l’Udi, a partire dal 1944, c’era un Paese che doveva rialzarsi dalla guerra, cambiare, crescere, anche attraverso duri conflitti di genere, sfruttando la forza che veniva dalle condizioni materiali di ogni donna e di ogni famiglia, ma anche una grande capacità di ascolto e di progettualità. Oggi, invece, il Paese si sta chiudendo, sta arretrando e sta costruendo nuovi muri. E la cosa grave è che, in questa chiusura, le donne hanno tutto da perdere, compresi i traguardi raggiunti in tanti anni di forte mobilitazione. Difficilmente, infatti, poche donne – per quanto autorevoli possano essere – potranno da sole cambiare la vita di tante donne.
Per decenni il pensiero femminile ha dato un contributo fondamentale alla crescita del Paese: dall’Udi, divenuta operativa nel 1944, al movimento femminista degli anni ’60-’70. Poi qualcosa è cambiato, ed è su questo che dobbiamo interrogarci. In quale momento il pensiero femminile ha smesso di diventare un agente di cambiamento? Probabilmente, dopo stagioni importanti di lotte e di conquiste, si è andata diffondendo nella società la convinzione che, di questa spinta propulsiva, non ci fosse più lo stesso bisogno che c’era stato in passato. Ma non è così.
Io credo che dobbiamo interrogarci seriamente su quella che Lidia Ravera ha definito “rivoluzione interrotta”, e che consapevoli del fatto che non abbiamo l’Udi, che è più difficile rappresentare le donne e le loro istanze, che la politica è debole ed in crisi, possiamo scivolare in un arretramento enorme, e forse nemmeno troppo percepito diffusamente. Se la politica è in crisi chi influisce sul modello culturale del Paese? La scuola? I media?
Media e tv, oggi, hanno un potere straordinario sulla cultura del Paese, ed io credo che noi donne dobbiamo provare ad occuparcene. Da alcune indagini condotte a livello Ue sull’immagine che i media danno delle donne, emergono dati impressionanti soprattutto in Italia: le donne presenti nei media sono quasi esclusivamente le donne dello spettacolo o le protagoniste di violenza, sono belle, patinate e giovani (anziane il 4%), sono donne ricche, non ci sono mai le donne che lavorano, che studiano, che cercano di affermarsi….per non parlare della politica e della pubblicità. Troppo spesso comunicare la donna significa comunicare il suo corpo, troppo spesso oggetto di strumentalizzazioni e quasi mai trattato con rispetto . Perché lo stereotipo della donna veicolato dai media ha poco o nulla a che vedere con la vita quotidiana della donna, di milioni di donne?
Si dobbiamo occuparcene, e con un gruppo di donne stiamo iniziando a farlo. Alcune colleghe parlamentari, alcune donne impegnate nell’informazione, stiamo meditando su alcune idee che potrebbero portare a strumenti normativi di intervento sui messaggi televisivi e culturali, ma anche di ampio confronto con le donne del Paese.
Mi avvio a concludere. Io credo che l’archivio Udi ci abbia fatto un grande regalo rinfrescando la nostra memoria e forse contribuendo alla voglia di scossa e di reazione che da tempo c’è in molte di noi.
Memoria, racconto, riflessione.
Noi, noi tutte, tante, diverse, possiamo metterci del nostro per costruire una nuova cultura politica capace di alzare lo sguardo e l’orizzonte. Quell’orizzonte della politica che oggi è troppo in basso, ch escambia troppo spesso la volontà popolare con i sondaggi, la costruzione politica e programmatica con il modello di impresa.
Penso che ci sia bisogno di rompere alcune nuove solitudini: nel lavoro dove vivono nuove differenze salariali, nella mancanza di servizi e di risorse negli enti locali, nella scuola , nelle istituzioni. Luoghi nei quali le donne ci sono, ma non hanno una forza che le rende “potenti”.
Penso che dobbiamo tornare con forza e forse con nuovi linguaggi e strade, ad agire autonomia e conflitto. Oggi si fa fatica a riconoscere lo spazio che rende comunità abitabile un partito, una forza politica, una dimensione collettiva, ma le donne hanno vinto solo quando sono state tante e si sono date forza anche nelle differenze.
Ci sono oggi temi che ci accomunano? Io credo di sì. Penso al silenzio che ho sentito di fronte al video di Lorella Zanardo, penso al pullulare di magliette con la dichiarazione di Rosi Bindi, penso ai mercoledì dell’Università, alla mostra ai magazzini del sale, penso alla voglia di ripartire che c’è anche nella nostra Provincia. Interroghiamoci sulle ragioni di una rivoluzione interrotta, ma siamo consapevoli che possiamo dare vita ad un’alternativa di valori e di relazioni umane e forme diverse dell’agire politico.
Da dove possiamo ripartire? Io penso che siamo già ripartite. Ci siamo e ci stiamo confrontando con linguaggi, età esperienze diverse, ma con la stessa voglia di contagiare ed essere contagiate.
Abbiamo competenze, intelligenze, saperi e più donne nelle istituzioni e nei partiti, dobbiamo attivare i giusti reagenti ed accendere qualche miccia.
Penso ad una stagione di innovazione normativa e di confronto nel Paese. Penso a più donne nei luoghi del potere. Penso alle grandi donne Italiane che dobbiamo far conoscere di più (il 2 dicembre 10 anni dalla morte di Nilde Jotti). Penso alla costruzione di occasioni di formazione politica delle giovani donne. Penso alla televisione ed ai media. Penso ad un nostro pensiero su laicità e libertà.
Qualche mese fa Tamar Pitch, parlando del nostro Paese scriveva della miseria della mascolinità che stava andando in scena, parlava di un “anziano liftato, truccato, con i capelli finti, assai ricco e potentem ridotto a comprare non tanto sesso, quanto ammirazione…”. Se questo è il maschile che ha prodotto egemonia culturale nel Paese, io credo che sia il tempo di mettere in campo le energie e le intelligenze che siamo in grado di esprimere, trovando le strade per farlo assieme, e che alle donne oggi spetti prendere l’iniziativa.
Mettiamo assieme la capacità di ascoltarci tra donne diverse, di scambiarci linguaggi e approfondimenti. Il Paese, la politica, la società potrà solo alzare l’orizzonte. Le donne non sono migliori o peggiori degli uomini, sono diverse. Le donne non sono tutte uguali, non esprimono i medesimi valori né il medesimo concetto di rappresentanza. Ogni donna è una storia a sé, ma non dobbiamo dimenticare che le donne, insieme, sono state capaci di compiere profondi cambiamenti.