Il dovere di cambiare il Paese
Con una maggioranza larghissima, una delle figure più stimate in Europa e nel mondo prova a far ripartire il nostro Paese. Al Senato 262 voti favorevoli, 40 contrari e 2 astenuti. Alla Camera 535 voti favorevoli, 56 contrari e 5 astenuti.
È nato, dunque, il Governo Draghi, chiesto e voluto con autorevolezza e chiarezza dal Presidente della Repubblica, dopo mesi di stallo politico. Sergio Mattarella aveva chiesto un Governo che “non si connoti politicamente” e così è andata. Il Premier incaricato si è preso l’impegno di una immediata interlocuzione con la rappresentanza economica sociale e con la politica; sono stati dieci giorni di attente audizioni con le forze politiche, con le forze economiche, con i sindacati, e poi la composizione del Governo.
Un esecutivo con gli snodi del PNRR e della transizione ecologica e digitale affidate alle mani di tecnici e competenze di alto profilo e con un’ampia presenza politica. Poche le donne, troppo poche anche per colpa del Pd. Volti seduti sui banchi del Governo che si fatica a vedere assieme, da Giorgetti a Speranza.
Ma il Governo Draghi è nato e il suo programma è molto chiaro.
E chiare, semplici, pronunciate con un filo di emozione, sono le state le parole con le quali lo ha illustrato alle Camere.
La pandemia che ha cambiato tutto, le sfide davanti a noi come occasione per cambiare la natura della crescita, le diseguaglianze che si sono ulteriormente allargate con questa crisi, il lavoro e le imprese da far ripartire o da ripensare, il gap di genere, la formazione e le giovani generazioni. L’Europa, in cui battersi per contare, ma con la consapevolezza che “fuori dall’Europa c’è meno Italia”.
Il banchiere “di ghiaccio”, come molti lo definivano, ci racconta dunque di un’Italia che vede nella transizione verde la sua occasione.
Una chiara esposizione ed una visione alta, chiara. La strada da percorrere per ricostruire il Paese nel segno della modernità e della coesione sociale. Il Green Deal come asse.
Ci sono davanti a noi sei anni in cui ci giocheremo tutto. Ed i primi due saranno decisivi.
Poi c’è tutto il resto, il gradimento nei confronti del Premier, altissimo, la svolta europeista della Lega e la credibilità di questa svolta.
Non c’è da celebrare in modo entusiastico l’arrivo del messia, ma solo da comprendere che questa è l’ultima chiamata per provare a fare davvero l’interesse del Paese, con uno scatto paragonabile solo a quanto avvenuto forse nel Dopoguerra, quando c’era da ricostruire tutto. Oggi la ricostruzione è un’altra: riguarda il lavoro, le imprese, le partite Iva, il sapere, il diritto alla salute, al digitale, la nuova povertà, la crisi ambientale.
Draghi lo ha ricordato, e lo sappiamo, dovremo sostenere questo sforzo anche sacrificando un po’ di visibilità delle singole forze politiche.
Ciò non significherà annientare le nostre identità e le nostre differenze. Tutt’altro.
So bene quante preoccupazioni ci siano tra le nostre file nel vedere su quei banchi i nostri rappresentanti e quelli della Lega, uno di fianco all’altro. Ma le nostre differenze sono solo attenuate e quella cornice del programma del Governo è la cornice delle nostre proposte, non delle proposte della Lega.
E comunque è proprio in un tempo come questo, in cui non potremo adagiarci nell’azione di un Governo di responsabilità nazionale, che dovremo concentrarci sulla nostra identità, sulla nostra capacità di rappresentare il Paese, sul nostro radicamento territoriale, sul nostro essere partito della sinistra europea e riformista in un mondo che sta cambiando tutto. Dovremo costruire il nostro radicamento proprio nel Paese, con le persone, nella loro quotidianità.
Lasciano ministri e ministre Pd bravi e capaci, e dispiace. Abbiamo tre ministri autorevoli e competenti. Torna nelle mani del Pd un dicastero strategico come quello del lavoro e del welfare.
Ma il tema dell’azzeramento della presenza delle donne al Governo nelle postazioni della sinistra tutta ha prodotto una ferita profonda, e non solo tra le donne del Pd. Non è una questione di quote, ma di identità, di capacità di interpretare il Paese mentre in Italia le donne pagano i prezzi più alti della crisi pandemica e il resto del mondo guarda a Kamala Harris.
Ne abbiamo parlato per due giorni con le altre donne della Conferenza nazionale, ne parlerà la Direzione nazionale. Ne hanno scritto intellettuali, giornaliste, donne comuni.
Non può esistere una sinistra che non scommette sulle donne e sulla loro portata innovativa. Non può ripartire un Paese che non sconfigge il differenziale di genere nel lavoro, nelle retribuzioni, nella possibilità di tenere assieme lavoro e maternità, nella politica e nelle istituzioni.
Dalle nostre parti abbiamo provato a dare un segnale, con l’elezione di una donna, Lore Lorenzi, alla guida del Partito Democratico di una delle unioni comunali più importanti, quella di Poggibonsi.
Non è semplice fare politica in una stagione come questa, in cui le relazioni tra le persone sono congelate. Non ci si può incontrare, abbracciare, gioire o arrabbiarsi assieme, non si può volantinare, incontrare le persone nei mercati, si parla su Zoom e.… non è la stessa cosa. Ma dobbiamo comunque provare a non fermarci.
Sappiamo che questa modalità non sarà breve. E allora siamo chiamati a fare di tutto affinché il confronto delle idee, il confronto politico, la costruzione di pensiero e di progettualità trovino le strade e gli strumenti che servono.
Draghi ha concluso il suo intervento ricordando a tutti noi che “oggi l’unità non è un’opzione, ma un dovere” necessario per il bene dell’Italia. Il dovere di lavorare per un grande salto di qualità.
Noi abbiamo deciso in modo compatto di esserci, di raccogliere l’appello del Presidente Mattarella, ma quell’unità dobbiamo praticarla con la nostra differenza, con le nostre idee, con la nostra capacità di “fare la sinistra”, rinnovando come è necessario la capacità di rappresentare la voce di chi ha più difficoltà e praticando l’azione riformista che serve per costruire le risposte.
Questo siamo chiamati a fare.
Susanna