Non può essere la solita storia

Non bastano poche ora di riflessione per un’analisi seria. Ce ne vorrà, di tempo e serietà. Nonostante questo, vedo come sempre uno stuolo di analisti specializzati nel Pd… a partire da quelli che il Pd non lo hanno nemmeno votato! Personalmente, credo che i numeri vadano guardati con attenzione e lo farò, come sempre, ma due cose mi sento di scriverle con sincerità e con libertà. Nei giorni scorsi, su alcuni quotidiani, abbiamo visto l’elenco dei segretari che abbiamo divorato dal 2007 a oggi e che sarebbe salutare avere sempre presente. Già si leggono, per altro, le dichiarazioni di alcuni dei possibili “candidati” alla prossima guida del Pd.
Se questo è l’inizio non abbiamo davvero capito nulla e possiamo solo finire di distruggerci definitivamente.

Come è noto, non ho fatto questa campagna elettorale da candidata, ma ho dato una mano, fatto iniziative, volantinaggi e parlato con tante persone. Come si fa per una comunità cui si appartiene. Perché questa comunità, è bene non dimenticarlo mai, ha una straordinaria ricchezza, è composta da una valanga di persone, volontari per lo più, che ad ogni campagna si impegnano in modo generoso e disinteressato, per tutti i candidati, anche per quelli che non vedranno più passare dai loro territori. I segretari, gli eletti, passano e loro, uomini e donne, sono sempre lì a volantinare, organizzare i rappresentanti di lista, tenere aperte le sedi che ci restano, fare le ore piccole alle riunioni; riempiono le piazze, incassettano e non sempre vengono ringraziati.

Anche senza guardare i sondaggi, bastava parlare con le persone fuori dai nostri circuiti per percepire che l’esito delle elezioni era già segnato. Adesso sappiamo anche in quale misura. Ci sono indubbiamente anche responsabilità recenti, ma altrettanto indubbiamente tante sono le responsabilità che vengono da lontano e la somma di tutto questo è stata esplosiva. Un disastro,  c’è poco da addolcire la pillola. Aggiungo che il lavoro politico e programmatico ha avuto, sulla campagna elettorale, sui messaggi politici, sul dialogo con le persone, un peso più o meno pari a zero. Non è arrivato e, in parte, non è stato nemmeno raccontato.

Quando si perde si deve sempre partire dalla ricerca dei propri errori: non sono i cittadini che non ti hanno capito, ma sei tu che non hai compreso o ascoltato molte cose. Fa paura quella cartina azzurra e fa impressione nella nostra regione (e in questo sono molto colpita, negativamente, da alcuni commenti autoassolutori…), con la sola eccezione di pochi collegi nell’area fiorentina. Nella nostra provincia ci confermiamo primo partito, grazie anche ad un po’ di radicamento ancora esistente, ma certo non c’è più nulla di scontato o su cui danzare, in nessun territorio.

Il punto primo è indubbiamente la profonda frattura con la società che non nasce oggi e che ha avuto una accelerazione anno dopo anno, segretario dopo segretario, senza riuscire ad invertire la rotta. Lavoro, impresa, ambiente, accesso ai servizi, al sapere, impoverimento: dove sono finiti? Da anni, ad esempio, io parlo con gli agricoltori, ma non posso dire che il Pd, nel suo complesso, abbia accolto o assunto le loro priorità: restano temi trattati da pochi e vissuti dai più come secondari. Questa frattura era già fortissima nella campagna elettorale di 4 anni fa: ci rinfacciavano il Job’s Act, le pensioni, la “Buona scuola”, il referendum, le banche e un po’ perché avevano ragione, un po’ perché l’aria era quella. Perdemmo e si andò a congresso. Nel frattempo abbiamo cambiato due segretari, pensato di ripartire, partecipato a due governi pur avendo perso le elezioni. Credo che non aver cercato il voto dopo il Papeete sia stato un tragico errore di tutti noi, anche mio, che – pur non essendo convinta – votai in quella Direzione la proposta del Segretario, allora Nicola Zingaretti.

“Ma avrebbe vinto Salvini”, dicono in tanti. Sì, avrebbe vinto Salvini, ma questo avrebbero scelto gli Italiani e noi, con coerenza, avremmo forse ricostruito opposizione e sinistra, prima di tutto nel Paese. “Ma te la immagini la pandemia gestita da loro?”, dicono altri. Sì, me la sono immaginata, anche tremando; ma si può pensare che il destino del Pd, della sinistra, debba essere quello di “esercitare responsabilità” quando il Paese avrebbe scelto altro? C’è qualcosa di incredibile in tutto questo perché l’eccezionalità del Governo Monti è diventata altro: in quel caso c’era il rischio di default, poi Salvini, poi la pandemia, poi ancora l’energia…
Abbiamo condiviso molte responsabilità, risposto ad autorevoli chiamate istituzionali e ci siamo molto chiusi nelle istituzioni, nei decreti, negli emendamenti. Certamente facendo anche buone cose, come hanno fatto i nostri bravi ministri e molti parlamentari. Anche io ho pensato, girando in lungo e in largo per il mondo agricolo, di aver fatto un gran lavoro, ma evidentemente non era abbastanza. Non era era sufficiente per un lavoro di ricostruzione.

Abbiamo perso perché siamo stati questo (che non è poco), ma siamo stati troppo poco “altro”.
E perché ogni gruppo dirigente, governo, sottogoverno, ogni lista, tutto è stato costruito con la livella correntizia di componenti, tra l’altro figlie della stratificazione di mille congressi fa e non delle sfide politico-culturali di questo tempo. Nessuno può sentirsi assolto. Un anno e mezzo fa un Segretario se n’è andato dicendo che questo Partito “era irrecuperabile” e mollando lì; Enrico Letta, una persona per bene, è arrivato con generosità e si è messo a disposizione, ha provato a ripartire dai circoli, ad aprire il partito, ha gestito molto bene passaggi difficili come la Presidenza della Repubblica, ma poi anche lui è stato sommerso da meccanismi, pressioni, classi dirigenti, singoli e – credo – ha perso il tracciato e le intenzioni iniziali. Poi c’è la storia di questi mesi, le alleanze mancate, la rottura con il M5S e altro di cui discuteremo.

Pensiamo, dunque, che bastino un segretario nuovo, più giovane, ed un congresso ordinario?
Molto sinceramente – se abbiamo compreso almeno in parte cosa è accaduto, non solo domenica ma in questi anni – allora stavolta un congresso non basta. Non basta cambiare il segretario, non serve cambiare i nomi con quelli più “freschi”. Stavolta serve smontare proprio tutto quanto.
Penso sia arrivato il tempo di un nuovo progetto politico e non lo si costruisce in un mese. Un progetto capace di ripartire davvero dal basso e da nuovi fondamentali, ma anche dall’alto, da una cultura politica che tiene assieme storie e visioni, capace di toccare le vite delle persone, della terra, delle città, del futuro, di usare linguaggi differenti, di far innamorare le persone, di generare fiducia.  Non è un progetto che si esaurisce con la vicinanza o meno con il M5S o con Calenda: quello viene dopo e se tu non sai chi sei, se la gente non sa chi sei, come fa a seguirti, ad affidarti la sua speranza?

La sinistra, il riformismo, sono parole bellissime, ma devi declinarle con il tuo tempo e con la tua gente. La storia della sinistra italiana è storia di emancipazione di vite personali e di comunità, di condizioni di vita e di visione del mondo. E questo mondo, quello della crisi climatica, della guerra che torna a tuonare, della povertà che torna a mordere, ce lo chiedono.
Ha vinto una destra che, tempo fa, non avremmo immaginato. Ha vinto Giorgia Meloni: è stata brava. Purtroppo.
Servirà fare opposizione, servirà radicalità e servirà una storia da ricostruire, anche con nuovi e nuove protagoniste. Con il tempo necessario e senza prenotazioni.
A tutte e tutti gli eletti nelle nostre liste i miei più cari auguri di buon lavoro. Avrete tanto da fare.
Ma stavolta c’è un lavoro enorme da fare soprattutto qua fuori.

<< TUTTI GLI ARTICOLI