Accademia dei Georgofili “Rapporti tra Scienza, Politica, e Società, in relazione al Progresso Scientifico e Tecnologico”

Accademia dei Georgofili

“Rapporti tra Scienza, Politica, e Società, in relazione al Progresso Scientifico e Tecnologico”

Lunedi 29 Ottobre 2018

Rapporti tra Scienza e Politica.

traccia del contributo di Susanna Cenni

Vice Presidente Commissione Agricoltura Camera Deputati

“Non tutto cio che si può si deve fare”

Se ben ricordo fu Cristha Wolf a scrivere questa frase in un suo lavoro, “Guasto”, era il racconto di una giornata, dopo il disastro di Chernobyl.

Parto da qui. Ma non soltanto. Parto, come la pratica politica tra le donne mi ha insegnato, da me, dalla mia esperienza personale. Una esperienza di donna impegnata da sempre sui temi della sostenibilità ambientale, poi di AssessoreRegionale all’Agricoltura di questa Regione, di legislatrice, da 10 anni in Commissione Agricoltura.

Tutti gli interventi precedenti sono stati di carattere tecnico scientifico, a me e all’Assessore Remaschi immagino sia stato affidato il compito di rappresentare una di quelle tre parole che avete scelto nel titolo: la Politica. Forse sarebbe stato importante anche ascoltare qualche voce rappresentativa del terzo soggetto che citate.

Provo comunque ad iniziare, con una premessa.

Quelle tre parole: Scienza, Politica, Società, vanno poste sullo stesso piano valoriale altrimenti io credo che sia difficile svolgere un ragionamento ed un confronto compiuto, rappresentativo del pensiero in essere, rispettoso ed utile. La Scienza ha il compito di ricercare, approfondire, studiare, sperimentare, innovare, mettere a disposizione i risultati del proprio prezioso lavoro, e di fare tutto questo con trasparenza e libertà, senza condizionamenti. La Politica, i Governi di valutare, scegliere, decidere, normare, indirizzare, motivando le proprie scelte, e di farlo nell’interesse della Comunità che gli ha conferito un mandato. La Società, i cittadini, le organizzazioni, danno il loro mandato. Lo fanno con il voto, con la partecipazione, con le loro scelte di consumatori, o di messa a coltura, di produzione.

La virtuosa relazione tra questi tre elementi è il presupposto per il corretto funzionamento di un Paese, per la sua evoluzione. L’evoluzione di un Paese non può essere letta solo attraverso uno solo di questi soggetti.

Se la relazione non è virtuosa, se si parte dal presupposto della superiorità assoluta di uno di questi piani nel nostro ragionamento, si genera una frattura, ed io credo che di fratture nel mondo ne abbiamo purtroppo viste molte, sin troppe.

Senza una ricerca attiva, forte, competente, pubblica, e, lo ripeto, libera, ad esempio da condizionamenti economici e finanziarie, non avremmo potuto combattere gravi fitopatie, l’arrivo di parassiti, malattie, non avremmo perfezionato tecniche colturali. Senza la ricerca non avremmo avuto la meccanizzazione, non avremmo oggi l’uso dei droni in agricoltura, ecc. La ricerca è fondamentale per combattere la Xylella che sta distruggendo il nostro patrimonio olivicolo nel Sud Italia, ecc.. e allo stesso tempo è fondamentale che migliorare consentito la selezione naturale di sementi, di varietà animali più resistenti, più adatte a mutamenti climatici a collocazioni geografiche, ad accrescere la resilienza, ad usare meno acqua, ecc..

Ed ancora, di fronte a mutamenti climatici così sconvolgenti, rispetto ai quali purtroppo i Governi ancora poco stanno facendo, è fondamentale che la Scienza, la Ricerca siano orientati ad aiutare Agricoltura, Politica e Società ad attrezzarsi.

Sono la prima firmataria della Mozione che nel 2013 ha visto un voto unanime di quella Camera chiedere al Governo di compiere la scelta di scelta di vietare la coltivazione di OGM nel nostro Paese. Sono anche la prima firmataria di quella che è diventata la legge 194/2015 sulla Biodiversità Agricola e Alimentare, e della proposta di legge attualmente in discussione sull’agricoltura biologica. Ho lavorato con il contributo di competenze, anche dell’Università di Pisa e di Firenze, l’ho fatto dopo aver frequentato per anni ambiti di confronto a livello Ue con la Commissione, ascoltando molte competenze scientifiche pro e contro, confrontandomi con molte altre Regioni europee, ed anche intervenendo e rappresentando a Conferenze Europee sul tema della Coesistenza la voce di quelle Regioni Europee. L’ho fatto in virtù di una convinzione personale, non tanto che “i prodotti Ogm fanno male” o che da li discendano “cibi pericolosi”, il tema, nonostante alcuni rischi anche reali (penso alle api), lo sappiamo tutti, non è questo. Il tema è che il nostro Paese, per conformazione geomorfologica, per caratteristiche produttive, per dimensioni del proprio potenziale produttivo, deve a mio parere investire sulle proprie caratteristiche e sulla Biodiversità delle proprie colture, e che questo sforzo, che significa qualità, competitività, non può essere compromesso. Non ho invece mai avuto personalmente alcuna contrarietà nei confronti della ricerca. A patto che avvenga in sicurezza, senza rischi di contaminazione nei confronti di chi oggi ha scelto di coltivare con il metodo

Biologico. Il principio di fondo per me è la “precauzione”.

Su un punto, non su tutti, sono invece daccordo con quanto scrivete nella presentazione del convegno, le contrapposizioni meramente ideologiche non hanno in questi anni aiutato, e non lo fanno tuttora. Dovremmo però partire dal riconoscimento che non sono collocabili da una sola parte, e se si taccia di “oscurantismo” chi pone problemi di cautela e di garanzia di non contaminazione, o addirittura la Corte di Giustizia Europea, forse qualche approccio ideologico rischia di esserci anche sul versante di una partedella ricerca.

Una parte, lo preciso e lo ripeto.

Perché vorrei anche ricordare che sul tema non tutta la comunità scientifica la pensa nello stesso modo. Anzi scienziati americani (GMOFreeUsa) ed Italiani nutrono riserve sulla stessa Metanalisi. Vorrei ricordare che nelle nostre Università Toscana siedono autorevoli Scienziati con posizioni molto diverse da quelle presenti nel convegno di oggi, e che forse sarebbe stato utile ascoltare in un franco confronto tra tesi scientifiche differenti.

Non sta a me, figura politica, decidere se le nuove tecniche di Mutagenesi o Cisgenesi, e di genome editing, siano da annoverare tra gli Ogm e quindi da sottoporre alle norme in vigore circa la autorizzazioni alla messa a coltura. La Politica, i Governi, hanno deciso di assegnare con la legge di Stabilità del 2016, risorse al CREA per rilanciare la ricerca nel settore delle biotecnologie, fermo restando che spetta al Ministero per l’Ambiente rilasciare i provvedimenti di autorizzazione “previa valutazione dei possibili effetti sulla salute umana, animale, sull’ambiente nonchè sugli ecosistemi naturali, l’agrobiodiversità, i sistemi agrari e della filiera agroalimentare, con particolare riferimento ai prodotti tipici, biologici e di qualità”.

Abbiamo norme Europee e Nazionali che obbligano ad indicare nelle etichette la presenza di Ogm sopra la soglia dello 0,9%.

Abbiamo iter di analisi importanti per le autorizzazioni che io ritengo al momento adeguate.

Pensiamo di dover approfondire il tema autorizzazioni per queste nuove tecniche in modo diverso dagli OGM? dico.. parliamone, ma senza false rappresentazioni dell’evoluzione, della modernita. la scienza vera, da un lato, e l’oscurantismo, il medioevo, dall’altro.

Piuttosto mettiamo a punto garanzie adeguate e trasparenti, perché non si può assolutamente mettere a rischio il lavoro in alcuni casi decennale svolto per le nostre produzioni Dop, Igp, Biologiche e Biodinamiche.

Se vogliamo contribuire però a riaprire un dibattito franco sul tema dovremmo anche dirci fino in fondo, con trasparenza, cosa hanno prodotto 25 anni di introduzione di piante geneticamente modificate nel mondo soprattutto in quei Paesi in cui si e sperimentato, prodotto senza limiti. Ecco, appunto. Cosa hanno prodotto? Chi ne ha beneficiato?

Quali risultati, quali rese? quali cambiamenti per il reddito dei produttori agricoli? Dovremmo aprire una discussione franca sul tema dei brevetti, sulle royalties e sulla relazione tra ricerca pubblica e ricerca privata finanziata dai produttori di sementi Ogm, sulla trasparenza di tutto questo.

Dovremmo fare una discussione sul mercato delle sementi nel mondo, ad oggi ancora nelle mani di pochissimi soggetti, sempre di meno alla luce delle recenti operazioni di fusione ed acquisizione da parte di grandi soggetti.

Ed ancora sarebbe necessario non veicolare messaggi sbagliati, denigranti e non corrispondenti al vero sull’agricoltura biologica, sostenendo magari in giornali di larga distribuzione, che “il biologico fa bene a chi lo produce”, e che i consumatori di prodotti biologici sono tutti degli sprovveduti perché “credono di scegliere un prodotto vantaggioso per la salute e per l’ambiente”, che gode di chissà quali sussidi. Lo dico perché non ci vuole molto a smontare queste affermazioni. Basta analizzare i dati, ad esempio se diamo un’occhiata ad informazioni disponibili per chiunque:

SINAB parla di superfici coltivate a Bio per un milione e 800000 ha (non di campi incolti), 72000 operatori, nella programmazione PAC 2014 – 2020, su 41,5 mld destinati al comparto agricolo italiano, per il Bio sono previsti 963 milioni (scheda comparativa elaborata da Ufficio Studi Camera), e non voglio fare l’elenco degli studi e delle ricerche che testimoniano i vantaggi in termini di fertilità dei terreni.

Potrei ricordare il dato esponenziale con il quale sta crescendo la transizione verso il Biologico di molti produttori vitivinicoli, di tanti giovani agricoltori, di moltissime donne del settore che scelgono con convinzione pratiche agroecologiche ridando valore a terreni complessi, prima abbandonati perché ovviamente faticosi da coltivare, poco appetitosi per le rese possibili, e concorrendo invece alla rivalorizzazione di aree interne, montane proprio per la qualità della propria agricoltura anche grazie al recupero di sementi in via di scomparsa, (si perché queste sementi, quelle non scomparse, come noto, grazie a leggi ed agricoltori custodi esistono, e non per pratiche da folletti). Potrei ancora raccontarvi stante storie, farvi i nomi, dei produttori, dei prodotti. Potrei ancora dire molto dei Biodistretti, dietro ai quali nascono progetti di sviluppo economico locale che vanno oltre i soli agricoltori. Anche qui c’è tanto bisogno di ricerca.

Cosi come vorrei ragionare a fondo sui dati che alcune ricerche ci consegnano circa la fertilità dei suoli. Si parla di aumento delle rese, ma oggi che rapporto c’è tra sfruttamento intensivo dei terreni e la loro fertilità? Non voglio banalizzare.

Sono temi complessi. Ma ritengo anche che di fronte ai profondi mutamenti climatici che stiamo vivendo, davanti ai fenomeni di land grabbing, di continuo consumo e cementificazione dei suoli. Davanti all’abbandono di aree rurali in cui e sempre più difficile vivere per la desertificazione di servizi, trasporti, scuole…la questione agricola assume una dimensione che va oltre al mero tema delle rese agricole, che si coniuga con la questione paesaggistica, rurale, ambientale, sociale e certo anche economica.

La multifunzionalità, la diversificazione, il reddito degli agricoltori, la tutela ambientale, l’uso della risorsa idrica, il rispetto dei diritti di chi lavora in agricoltura, sono temi centrali della programmazione che serve, che devono attraversare l’ottica di chi assume decisioni.

E la scienza può dare un enorme contributo se guarda a questi orizzonti. Orizzonti che stanno orientando da tempo i comportamenti di cittadini, imprese, consumi.

Io credo che se è vero, come il rapporto sui consumi dei fitofarmaci presentato a Bologna qualche mese fa sostiene, e cioè che l’Italia è uno Paesi con il più alto dato di consumo di fitofarmaci procapite,(Rapporto Cambia la terra 2018 125 milioni di prodotto fitosanitari venduti nel 2016) ci sia qualcosa su cui riflettere. E non è un tema di carattere “ideologico”, ma anche economico.

Nel 2015 la Commissione Europea ha relazionato al Parlamento Europeo e al Consiglio in materia di Biodiversità. E facendo un bilancio sui passi compiuti dal 2010 al 2015 diceva con chiarezza che quel bilancio non era positivo. Scriveva la relazione, all’obiettivo 3 (incrementare il contributo dell’agricoltura e della selvicoltura al mantenimento ed al rafforzamento della biodiversità) “non si è compiuto alcun progresso generale significativo, sono necessarie iniziative più incisive per raggiungere l’obiettivo entro il termine previsto”, e poiché di norma i numeri aiutano a comprenderne il senso, aggiungo che la stessa relazione ci ricorda che “l’inazione politica e l’incapacità di frenare la biodiversità a livello mondiale potrebbe comportare perdite annuali nei servizi ecosistemi pari al 7% del PIL mondiale”.

Ecco, questo per dire che quando parliamo di tutela della biodiversità, di principio di precauzione, di rischi di contaminazione, di standardizzazione delle produzioni, non si tratta di resistenze mentali oscurantiste, ma di …buon senso, di capacità di vedere il futuro a tutto campo, vedendo i pro e i contro di una scelta e di una direzione.

Nessuno nega che la ricerca sulle biotecnologie abbia consentito risultati straordinari nella medicina, ma l’agricoltura non è la medicina. Ho molto apprezzato che anche l’Enciclica, “Laudato Si” abbia fatto riferimento al tema. Ricordando cosa in alcune regioni del mondo una diffusione ed un uso del transgenico deciso dall’alto, senza il coinvolgimento delle comunità locali, senza alcun nesso con la programmazione di quel territorio, abbia provocato nelle piccole comunità rurali e in alcuni ecosistemi. E qui potremmo aprire un lungo ragionamento anche con il tema del land grabbing..ma non e all’ordine del giorno, pur confermando quanto tali scelte abbiamo un potenziale che va ben oltre “le rese”, Io non voglio demonizzare nulla. Non l’ho mai fatto nella mia esperienza e non appartiene alla mia pratica politica.

Discutiamo di tutto, ma occorre rispetto per ogni posizione.

Se davvero si intende riprendere un confronto senza rigidità sull’uso delle biotecnologie, serve uscire “mentalmente” dai laboratori, perché non si governa tutto da li, e non si produce la verità in laboratorio come in nessuna aula parlamentare.

Serve invece ascoltare ed ascoltarsi, anche da posizioni diametralmente opposte.

Anche quando si parla di semi, di colture, di vegetali, c’è un ruolo della ricerca, un ruolo delle comunità, degli agricoltori e della politica.

Servono trasparenza e pubblicità dei risultati.

Altrimenti si rischia un confronto sterile, più sterile di quello di alcune sementi con diritto di brevetto che dopo aver generato un frutto non sono più in grado di consentire ulteriore riproduzione.

Grazie