La manovra e l’Italia. E’ finito il valzer dell’ottimismo

L’orchestra ha concluso il suo valzer dell’ottimismo, lo spartito è cambiato. Dopo due anni nei quali si è cercato di nascondere anche l’evidenza, prima negando la crisi, poi dicendo che caso mai era già finita grazie al buongoverno del centrodestra, ora per la prima volta il Premier (sì, proprio lui…) ha parlato di sacrifici. Dal suo volto e dal suo stile, più propenso alla barzelletta e all’intrattenimento che alla serietà del momento, è scomparso il sorriso. Certo ha fatto di tutto per farci capire che non era sua la volontà di intervenire con una manovra così pesante, che Tremonti e l’Europa lo avevano costretto e che comunque la colpa è della sinistra.
Ci siamo. La manovra sarà pesante, superiore ai 24 miliardi di euro in due anni, anche se fino a qualche settimana fa Tremonti stesso negava che potesse essere necessaria. Nessuno può negare l’esigenza di una manovra forte, efficace necessaria ad evitare il peggio, ma forse vale la pena di dire cosa c’è dietro a questa decisione. È bene ricordare che la crisi non nasce oggi, è grave e viene da lontano. Più volte proprio noi del Pd abbiamo chiesto che il Parlamento ne discutesse, che affrontasse la questione con serietà. Siamo stati definiti cassandre, disfattisti, ed oggi siamo a questo.
E allora in questo momento, con la piena consapevolezza che si apre una fase dura per tutti, andiamo a vedere quali sono i sacrifici di cui si parla, come sono distribuiti e soprattutto qual è la loro efficacia, perché è su questo che il Pd non concorda.

Prendo in esame solo alcuni punti, in attesa di conoscere in concreto i contenuti della manovra finanziaria:

  1. non c’è la minima lettura critica circa gli errori di valutazione fatti dal governo in questi due anni (qualcuno si ricorda che tra i primi provvedimenti del governo assieme al taglio dell’Ici avvenne la detassazione degli straordinari?);
  2. in un momento in cui si sarebbe dovuto recepire l’appello del Capo dello Stato alla coesione e all’equità, si fa tutt’altro senza  cercare,  alcun contatto con l’opposizione  o con le parti sociali per creare le condizioni di una condivisione di misure anche forti ma amagari utili al Paese;
  3. non si introduce alcuna riforma strutturale della spesa, solo tagli lineari, non c’è niente che colpisca la rendita e che chieda ai redditi alti del Paese di fare la loro parte eccezion fatta per i dirigenti dello stato;
  4. chi paga: i cittadini in termini di servizi, visto che su oltre 24 miliardi di manovra, ben 16 sono a carico di Regioni ed Enti locali, con tagli che andranno a colpire welfare, trasporti, istruzione; e 3.600.000 dipendenti pubblici, che guadagnano una media di 1.200 euro al mese, perderanno 1.600 euro in tre anni;
  5. chi non paga: come al solito chi ha evaso il fisco, ricordiamoci infatti che se coloro che hanno beneficiato del maxi  scudo fiscale e condoni (da ultimo quello mascherato sulle case fantasma) avessero pagato le tasse dovute, questa manovra sarebbe stata ben più leggera e forse addiritttura non necessaria.

Tra le poche cose che possiamo apprezzare ci sono le misure relative alla tracciabilità dei pagamenti, inizialmente volute da Bersani e ora reintrodotte dal Governo dopo averle tolte in modo sprezzante ad inizio legislatura.
Nelle difficoltà del momento, il Governo avrebbe davvero potuto fare scelte diverse. Ad esempio tentare un patto con le forze in Parlamento per affrontare alcuni nodi strutturali del nostro Paese, per risanare i conti pubblici e favorire la ripresa economica, nel segno dell’equità e con la responsabilità di tutti. Questo sarebbe stato il terreno auspicabile, l’unico sul quale poggiare anche uno svelenimento del clima politico e sociale. Ma ancora una volta non è andata così. Qualche giorno fa l’Istat ha presentato il proprio rapporto annuale, dedicato quest’anno alla crisi economica. Un quadro a tinte fosche, anzi foschissime: due milioni di giovani al di sotto dei 30 anni (uno su cinque) che non lavorano e non studiano; oltre il 15% delle famiglie che vive in condizioni di disagio economico (con punte del 25% nel mezzogiorno), tanto da non potersi permettere nemmeno una settimana di ferie all’anno; una pressione fiscale salita nel 2009 al 43,2%, ben al di sopra della media europea che è inferiore al 40%. È impressionante che, anziché farne tesoro, il Governo abbia giudicato “politicizzato” anche  il rapporto Istat. Si continua a chiudere gli occhi e a far finta che il baratro non ci sia.
Le misure annunciate e non ancora ufficiali sono già in fase di correzione a 24 ore dal loro annuncio. Già si assiste ai primi dietrofront, come ad esempio sull’abolizione delle 9 province (cosa francamente ridicola), e probabilmente ce ne saranno altri. Quello che è invece molto chiaro è che purtroppo queste misure non saranno né influenti né sufficienti. La mia sensazione è che ci sarà davvero (e forse non troppo in là col tempo) per l’opposizione la necessità di fare la nostra parte direttamente. Certamente oggi non accettiamo questa risposta sbagliata al terremoto che stiamo vivendo: una risposta iniqua e purtroppo inutile, che ancora una volta penalizza famiglie, imprese ed enti locali. Il Pd, che sta finalmente lavorando in modo compatto e determinato, è impegnato affinché in Parlamento e nel Paese si modifichi questa proposta di manovra, affinché si possa intervenire nei conti pubblici in modo serio e strutturale. Per farlo avremmo bisogno di un Governo all’altezza di questo compito (cosa della quale purtroppo dubitiamo fortemente) e di un Parlamento che non venga delegittimato ogni giorno, come invece sta avvenendo in questo momento.

Tra gli appuntamenti di questa settimana vi segnalo:
– lunedi 31 maggio la mobilitazione sulla scuola a Siena;
– giovedi 3 giugno alle ore 21, sala polivalente la Ginestra, via Trento, 84, Poggibonsi: “Le risposte che cerchiamo”, incontro con Gianni Cuperlo (deputato Pd) autore del libro “Basta zercar”;
– venerdì 4 giugno ore 10.30, l’Enoteca Italiana di Siena (Bastione San Filippo): “Biodiversità in agricoltura tra tutela e innovazione”.

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