Anche Susanna Cenni tra i promotori dell’appello “Per ripartire”

«Non possiamo assistere in silenzio a ciò che avviene sotto i nostri occhi. Un grande progetto di unità e innovazione rischia di smarrirsi dentro logiche di rendita e logoramento. A tutti i livelli. Prima di tutto al vertice, talvolta insofferente verso un confronto di merito sulle scelte che si compiono. Sul territorio dove i conflitti si moltiplicano, e spesso per ragioni di assetto o di potere. Nonostante ciò un “popolo democratico” esiste. Resiste. Reagisce, a partire dai nostri Circoli. Come si è visto al Circo Massimo. O nelle proteste di studenti, insegnati, lavoratori». E’ questo un passaggio, tra i più significativi, della lettera-appello dal titolo «Per ripartire» di cui Susanna Cenni è tra promotori insieme ad un gruppo di deputate e deputati del Partito democratico. La molla che ha spinto i cinquantaquattro parlamentari Pd è la preoccupazione per le forme e i contenuti dell’attuale discussione sul partito e sulle sue prospettive, anche in vista dei prossimi appuntamenti politici. Ecco il testo integrale della lettera-appello, che verrà consegnata alla direzione nazionale del Pd del 19 dicembre e che ha già raccolto oltre 1300 adesioni attraverso siti, blog e facebook.

PER RIPARTIRE

Siamo nel cuore di una “crisi storica” segnata da una recessione globale e dalla minaccia costante di quel terrorismo che ha segnato il mondo dopo l’11 settembre. L’economia – non solo la finanza speculativa – è investita da previsioni allarmanti. Del resto basta guardare a noi. Un milione i posti di lavoro a rischio da qui a un anno. Quattrocentomila i precari a casa entro Natale, e tra questi moltissime donne. Una diffusione della povertà che lambisce e recluta parte del ceto medio. Imprese, anche coraggiose nel modo di stare sui mercati, dal futuro ipotecato. Il tutto in un Paese col bilancio pubblico che conosciamo, coi ritardi e le anomalie note. Fino a ieri eravamo una Nazione perennemente in bilico dentro un G8 che dominava il mondo. Oggi muore il G8 sostituito da un altro club dove per noi difficilmente ci sarà uno spazio significativo. Mentre restiamo una Nazione che non ha risolto il suo problema di fondo: l’aver rinviato per anni una profonda e giusta modernizzazione in termini di crescita e di espansione di opportunità, diritti, responsabilità. Un’Italia declassata: questo è il rischio. Un Paese isolato nelle sue lentezze, burocrazie, ineguaglianze. Dove le élite della politica e della società, in questo appaiate, potrebbero continuare nella mortificazione di talenti e persone per tutelare gli interessi e le rendite di pochi. Un grande paese che letteralmente può perdersi. Spegnersi. Eppure le risorse per reagire ci sono. Ma vanno viste, riconosciute, valorizzate. Il che è una delle ambizioni morali e politiche del Pd.

Questo è il quadro: un mondo che cambia in modo vorticoso. Un’Europa alla ricerca della propria funzione. Un’Italia che dovrebbe avere il coraggio, soprattutto adesso, di una “rivoluzione dolce”. Rivoluzione di idee, mentalità, contenuti economici e sociali. E che invece è in mano a un governo – a una destra – che si limita a rinnovare le cause della nostra decadenza in nome della triade “Dio Patria e Famiglia”. La realtà è che mai come ora siamo di fronte a snodi che investono il nostro destino. Il futuro per le prossime cinque o sei generazioni. La sorte stessa della “democrazia repubblicana”. E non perché siano in pericolo principi costituzionali formali ma per lo slittamento progressivo da una democrazia rappresentativa a un “autoritarismo subdolo”. Un processo che svuota delle sue prerogative un Parlamento “nominato”, che riduce gli spazi della partecipazione, che amplifica l’ossessione mediatica, che prosciuga le residue forme di civismo in un Paese di suo poco incline al rispetto delle regole e dell’etica pubblica.

Sono solo alcuni dei temi che il Pd deve affrontare. E la ragione che ha spinto molti tra noi a porre da tempo il nodo della sua cultura politica e del significato autentico di una “vocazione maggioritaria” che non va intesa come “autosufficienza”. Che ruolo immaginiamo per l’Italia dei prossimi anni? Che modello di democrazia scegliamo di difendere o promuovere, a partire dal “nostro” federalismo? Come pensiamo di affrontare il tema della crescita: quali terapie d’urto per creare nuova occupazione, per una più equa distribuzione dei redditi, per ridare dignità al lavoro? Che concezione abbiamo di sicurezza e legalità, della cittadinanza, del dialogo sulla pace e sui diritti umani? E come pensiamo di rapportarci a quelle domande di senso che ovunque investono le coscienze e responsabilizzano i parlamenti, a partire dalla difesa del principio della laicità nell’epoca dei fondamentalismi e di temi etici inediti? Insomma la vera domanda è come una politica “autonoma” intende rinnovare quella trama di diritti e doveri, quella comune responsabilità che distingue una società libera e consapevole, e che è l’unica strada per rilanciare una crescita competitiva, giusta socialmente e sostenibile nel suo impatto ambientale.

Si dice che guardiamo a Obama. Ma a quale dimensione di Obama? Quella che coltiva nel presente le grandi passioni civili del popolo americano? O anche l’Obama promotore di un programma di innovazione dell’economia e della coesione sociale? O ancora, l’Obama dei diritti civili e della tutela di ogni minoranza? E l’Europa? Possiamo noi – Democratiche e Democratici italiani – costruire oltre Atlantico il nostro campo di riferimenti ideali e culturali? O non è anche dalla storia e dalle radici profonde dell’Europa – della nostra civiltà e memoria – che dobbiamo trarre spunto per consolidare l’innovazione che ci siamo candidati a promuovere e governare? Questione che attiene anche al nodo della nostra collocazione futura nel Parlamento di Strasburgo.

Domande serie. Fino a quella – non la meno rilevante – che riguarda il modello di Partito che vogliamo costruire. Quale sarà nei fatti la sua articolazione territoriale, il suo radicamento. Quale sarà il peso dell’autonomia dei partiti regionali, nella definizione della propria cultura politica, delle alleanze, della selezione delle classi dirigenti. Perché una cosa è un partito federale. Altra sarebbe una confederazione di partiti. E ancora: come combineremo la spinta alla partecipazione delle primarie a tutti i livelli con una vita democratica che non si riduca solo a quell’aspetto, pure fondamentale?
Non è solo un elenco di temi. Il punto è che la risposta a questi e altri snodi fisserà la cornice culturale del Partito Democratico. Quel Partito che è la risorsa sulla quale abbiamo investito. E che rappresenta per ciascuno di noi la vera speranza di avvenire per il Paese.

Non possiamo assistere in silenzio a ciò che avviene sotto i nostri occhi. Un grande progetto di unità e innovazione rischia di smarrirsi dentro logiche di rendita e logoramento. A tutti i livelli. Prima di tutto al vertice, talvolta insofferente verso un confronto di merito sulle scelte che si compiono. Sul territorio dove i conflitti si moltiplicano, e spesso per ragioni di assetto o di potere. Nonostante ciò un “popolo democratico” esiste. Resiste. Reagisce, a partire dai nostri Circoli. Come si è visto al Circo Massimo. O nelle proteste di studenti, insegnati, lavoratori. Ma è lo scarto tra le due dimensioni – il paese reale e la vita politica e democratica del Pd – a creare incertezza, sconcerto, e in alcuni casi un abbandono silenzioso. Di fronte a questa situazione ognuno deve rimboccarsi le maniche. Non basta più dire che siamo nati solo da un anno, che si sono fatte molte cose buone e che il tempo premierà il nostro coraggio. Né il punto è una “resa dei conti” che riduca tutto alla questione della leadership. Noi dobbiamo affrontare e risolvere i problemi. E per farlo non è sufficiente ripetere che le “correnti” sono il male da combattere. E’ una frase di buon senso ma prescinde dal fatto che le correnti ci sono. Selezionano le persone sulla base della fedeltà più che del merito, e la maggioranza di chi le contesta – fino dentro il coordinamento nazionale – non può dire di esserne estraneo. Il risultato è che per i più “le correnti fanno male”, salvo la propria. Ma non è pensando a questo modo che si fanno dei passi avanti.

Per tutte queste ragioni è consolatorio ridurre la discussione sul nostro futuro allo scontro tra singole personalità. Soprattutto non aiuta. Il dovere di ognuno è dibattere dell’avvenire dell’Italia e della nostra democrazia. Senza reticenze. Proprio in nome dell’unità di un partito nel quale potersi sentire “comunità” è giusto confrontarsi in modo libero e limpido su idee e proposte per dare vita finalmente a un “pensiero democratico”. Un confronto dove l’appartenenza ai luoghi di tutti sia più forte del sostegno a singole componenti. Che poi è la condizione per una mescolanza che possa dar vita a un pluralismo di segno diverso. Certo, le emergenze incombono. La crisi economica e sociale, le elezioni europee e amministrative. E soprattutto l’azione quotidiana, il “fare”. Che passa dal sostegno alle nostre amministrazioni. E dalla qualità della nostra opposizione. In Parlamento, nella società, in ogni comune, provincia, regione. Ma proprio quelle emergenze impongono di affrontare i nodi non risolti nella costruzione del Pd. Perché un equivoco va superato. L’idea che la costruzione paziente dell’unità derivi dall’accantonamento della discussione sulle scelte. Scelte chiare e comprensibili a tutti. La realtà è che il Partito Democratico se vuole riacquistare quella credibilità delle “sue” parole, che oggi pare aver smarrito, deve puntare sulla limpidezza delle sue posizioni. E quella limpidezza non può essere il frutto di rimozioni o unanimismi di facciata ma il prodotto di una discussione franca e appassionata. Noi vogliamo contribuire a farlo, nelle sedi e nei luoghi dove ciò sarà concretamente possibile e nella stessa Conferenza Programmatica. Lo vogliamo fare con umiltà. Per amore della politica. Per passione verso il Partito nel quale crediamo. E per un’idea di partecipazione che dia valore a ogni persona, alla sua autonomia critica e all’impegno di ciascuno.

5 thoughts on “Anche Susanna Cenni tra i promotori dell’appello “Per ripartire”

  1. Quando la base ha deciso di di lavorare per la realizzazione di questo nuovo soggetto politico, sin dal primo momento è stata consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrata questa realizzazione. Il vertice spesso si appropria di una bella cosa che con innumerevoli difficoltà fra tutti siamoriuciti a darle le gambe; poi, per motivi incomprensibili, non riesce a governarla. Come ex compagno comunista (avevo 14 anni al momento della prima mia iscrizione ai giovani comunisti e dopo tutti i percorsi intrapresi per adeguare l’ideali socialisti ai tempi attuali, ho intravisto nel PD l’ultima possibilità di espressione a sinistra dei veri valori di fratellanza , solidarietà, valorizzazione della laicità dello stato e il rispetto delle religioni e delle etnie diverse.Il momento è difficile, ma noi che siamo stati i paladini della questione sociale non solo non dobbiamo mollare ma, anzi, dobbiamo dimostrare con atti chiari e limpidi che non ci sono spazzi per i disonesti e che i nostri rappresentanti sono persone per bene. Chi sbaglia paga e non deve essere difeso.
    Saluti cari per il proseguimento di un tuo priofiquo mandato istituzionale, Gian Pero Pierini, Circolo Parri di S. Andrea.

  2. Io ho creduto sulla necessità di un soggetto politico in grado di rinnovare la politica italiana, ma noto con profondo dispiacere che il PD ha preso il peggio della vecchia paleopolitica. il nuovo non avanza e sono sempre le stesse logiche di amicizia, nepostismo e apartanenza (alle varie logge) che scandiscono l’agenda della politica locale e nazionale del partito. Non vi è spazio per i bisogni della gente normale e dei lavoratori nelle priorità del PD nè in provincia di Siena nè a livello Toscana nè a livello nazionale.
    La questione morale poi è stata affrontata con troppa superficialità. Che le cose non andavano bene nella Campania o in Calabria o in Abruzzo erano ormai molti mesi e nulla si è fatto a livello politico centrale per allontanare corrotti e corruttele …. Abbiamo perso una grande occasione per dimostrare (a elezioni concluse e perse e quindi senza nient’altro da perdere) di essere un partito di pasta diversa, di voler essere almeno onesti !
    Spero che il grido di dolore venga accolto da Lei, che considero ancora il nuovo che avanza e di cui ci sarebbe più bisogno.
    Non so se potrò sopportare altre delusioni da questo partito appena nato …
    Grazie.

  3. Può darsi che questa non sia una crisi ciclica di mercato, ma la fine di un sistema? Forse il capitalismo sta finendo, è un sistema sbagliato di redistribuire la richezza, perchè si fonda sul mercato e sul consumismo, che alla lunga distruggono il pianeta e impongono all’uomo ritmi non naturali. Invece che far ripartire l’economia, non si potrebbe fermarla definitivamente e ripensare a un modello diverso, più equilibrato? esempio banale, perchè aiutare l’industria dell’auto, se il mercato è gia saturo e le auto, in ogni caso, sono fonte di inquinamento? non sarebbe meglio aiutare l’agricoltura, in un mondo in cui ci sono ancora essere umani affamati di cibo e non di automobili?

  4. vi scrivo con l’intento di proporre alcune riflessioni sul “rilancio” del Partito democratico, che ho sempre immaginato quale rinnovato strumento di partecipazione popolare alle scelte di governo, locali e nazionali.
    Un partito che sappia restituire alla politica umiltà, austerità e concretezza di contenuti.
    Un’occasione per riaffermare un corretto rapporto di rappresentanza politica, dove la decisione finale sia il risultato di un processo che, partendo dalle istanze di base, le sintetizza e le traduce in interesse comune.
    Quando la politica cessa di essere processo partecipativo e diviene mero governo delle scelte, i cittadini avvertono la distanza e si allontanano sempre più: allora il potere, indisturbato, alimenta se stesso.
    Per questo occorre che la dirigenza non ostacoli la costruzione di un partito nuovo; aperto ai giovani, alle donne, alle associazioni, al mondo del volontariato; attento alle idee, alla passione, alla generosità di quanti vogliano aprire un dialogo, un confronto sulle prospettive del paese e del governo locale.
    Un partito che assuma, quale linea guida di ogni proposta o scelta politica, i valori della solidarietà sociale e della testimonianza; principi che da sempre sono patrimonio del pensiero e dell’azione sia dei cattolici democratici sia della sinistra riformista.
    Il Partito Democratico deve riaffermare l’idea che una nazione o una comunità locale non si amministrano con la logica “fredda” e dirigistica dell’economia aziendale.
    Per questo un partito che non riesce a “generare” amministratori in grado di soddisfare i bisogni della collettività, garantendo i servizi essenziali, perde rappresentatività: viene meno il sentimento di appartenenza, il senso dello “stare insieme” per perseguire obiettivi comuni.
    Occorre innovare, affermare l’idea di un partito moderno che sappia costruire la propria offerta politica non su interessi settoriali o di classe, ma sui bisogni e sulle richieste di una società globale e multiculturale.
    Un partito che, con senso di responsabilità e rifuggendo da ogni demagogia, interpreti e dia soluzione al disagio dei cittadini, sempre più drammaticamente alle prese con i problemi della quotidianità: il lavoro giovanile e l’incertezza del futuro, l’istruzione dei figli, la casa, il sostentamento economico delle famiglie, la salvaguardia della salute.
    Non si può tornare indietro: ormai “il popolo delle primarie” (la base del partito) ha scelto di rifiutare la logica “accattivante” di limitarsi a fare l’osservatore, di continuare a “delegare” solo ad altri le decisioni sul futuro di un patrimonio politico che non vuole disperdere. Chi ha deciso di mettere in gioco le proprie idee, scegliendo di vivere in modo attivo e propositivo questa fase, non è disposto ad accettare “ritorni al passato”. Se è vero che “il presente affonda le proprie radici nella storia”, il PD sa di avere alle spalle tradizioni culturali di cui andare orgoglioso e su cui costruire un percorso politico di innovazione e di riformismo.

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