Autunno di numeri, e di persone

Sono giorni di conti, di previsioni e di tensioni.

I numeri sono fondamentali quando si maneggiano Def e legge di bilancio. Ci aiutano a capire cosa è accaduto in questi mesi, come sta andando l’economia mondiale e un po’ anche dove siamo collocati in questo Universo pieno di contraddizioni. Ci dicono cosa prevediamo che accada, quali politiche stiamo facendo, quali risorse abbiamo e come pensiamo di usarle per tornare a crescere.

Il Def, anzi il suo aggiornamento, dopo la revisione al ribasso di tutte le stime di carattere europeo e internazionale, è giunto alla Camera. Le stime primaverili del Governo prevedevano per il 2017 un Pil in crescita dell’1,5,%, che scende nel testo all’esame all’1%, con un’ ipotesi di evoluzione all’1,3% per il 2018 e dell’ 1,2% per il 2019. Le ragioni di una revisione al ribasso che, riguardano anche le previsioni tendenziali e il quadro macroeconomico, sono molteplici e sono legate in gran parte alle vicende internazionali: dai mercati in rallentamento, alla Brexit, fino al grande peso del nostro debito pubblico. Ma è evidente che c’è anche una specificità tutta italiana se, a oggi, siamo quelli che in Europa crescono di meno, e se la Spagna, pur senza un governo da mesi, e certo con un debito pubblico spaventoso, riesce a crescere del 3,2%. Noi non cresciamo.

L’iter del Def è avviato, ma in queste ore la mancata validazione delle previsioni di Governo da parte dell’Ufficio Parlamentare del Bilancio, che considera eccessivamente ottimistica, e quindi non realistica, una crescita dell’1%, sta creando qualche tensione e qualche difficoltà anche procedurale. Nei prossimi giorni il Governo, che attraverso il Ministro Padoan conferma le sue previsioni, documenterà ulteriormente le basi della sua stima di crescita, e poi sarà la volta della Legge di Bilancio, della negoziazione con Bruxelles, e delle scelte di politica economica e fiscale. E saranno ancora numeri, stavolta allocati con chiarezza e con le coperture. Si tratterà, per quanto emerso da dichiarazioni e articoli di stampa, di prevedere le risorse per sterilizzare l’aumento dell’Iva, per finanziare la flessibilità pensionistica in uscita, per intervenire sulle pensioni più basse, per avviare la ricostruzione nelle aree del terremoto e un grande piano di messa in sicurezza sismica, per proseguire sulla difesa del suolo, con gli 80 euro e le decontribuzioni. Per finanziare la flessibilità pensionistica in uscita. In questi giorni si è parlato di Industria 4.0 e di ulteriori cancellazioni fiscali e ovviamente, come annunciato dallo stesso Premier, di proseguire nell’abbassamento delle tasse. Io mi auguro di cuore che potremo leggere anche di investimenti su welfare e persone, sulla ricerca, sulla green economy e spero, invece, vivamente di non trovare numeri finalizzati alla realizzazione del Ponte sullo stretto.

Altri numeri hanno fatto fatica invece a farsi trovare nelle prime pagine dei maggiori quotidiani. Sono quelli dei salvataggi e dei morti in mare. Il 3 ottobre, dopo l’approvazione di una legge oltre un anno fa, abbiamo celebrato la giornata della Memoria. Quella legge che non vollero né M5S, né la Lega. Ci consente di ricordare, di contare. Lo sapete che secondo l’ONU nel 2016 sono morte 3167 persone nel tentativo di attraversare il Mediterraneo? E che negli ultimi 3 anni sono morte più di 11000 persone? La memoria torna a quel 3 ottobre 2013, quando 368 migranti annegarono al largo di Lampedusa, in quel Mediterraneo delle nostre vacanze e del nostro riposo. In questi giorni abbiamo visto quel capolavoro che è “Fuocoammare”, uno schiaffo di verità che dallo schermo ci ricorda come quei numeri rappresentino drammi e morti veri, vite cambiate per sempre, ma anche competenze, generosità, accoglienza, purtroppo non riconosciuti adeguatamente in terra europea. Non so se la legge sarà sufficiente a trasformarci in un Paese capace di rompere fino in fondo i muri dell’indifferenza, a costruire comunità solidali, capaci di mettere al centro la dignità degli esseri umani. Ma abbiamo fatto bene ad approvarla, a testimoniare con un atto parlamentare ciò che è accaduto e che sta ancora accadendo.

194 del 1978: sono i numeri di una legge che le donne conoscono molto bene. Avevo appena compiuto 18 anni quando ho votato per la prima volta in un referendum. Era il referendum che il mondo cattolico promosse per abrogare la legge sull’interruzione di gravidanza. Loro, il movimento della vita, le forze politiche conservatrici, persero quel referendum, e in Italia le donne vinsero forse la loro battaglia più grande. Qualche giorno fa a Varsavia un fiume di donne vestite di nero è sceso in piazza per protestare contro il rischio di tornare indietro. Contro il pericolo di un balzo indietro nel medioevo dei diritti e dell’autodeterminazione. E tutto questo avviene oggi, nell’Europa che torna a vedere fili spinati, muri o liste di lavoratori indesiderati. Le donne hanno vinto la loro battaglia anche in Polonia, il Governo ha ritirato la legge. Serviranno altre mobilitazioni, serve esserci, serve sfilare, serve ricordare che siamo uomini e donne europei, liberi.

Servirebbe una grande sinistra pronta ad esserci.

Poi ci sono i numeri che ballano e che riguardano le Banche. Quelle italiane che di fronte a un mercato poco interessato a subentrare nei 4 istituti di credito su cui si è intervenuti un anno fa e quelli di Mps e di Deutsche Bank. Ci sono i numeri che ci parlano di obbligazioni andate in fumo e di crediti deteriorati, e le persone che hanno perduto risparmi, e insieme ai mutui che non possono pagare, magari le case o la loro attività. Da anni tutti hanno imparato a parlare di spread e debiti deteriorati, e molti hanno iniziato a perdere il filo tra le stime di Istat, Inps, Ministero del lavoro sull’occupazione, o a seguire i vertici UE, ad attendere aperture sulla “flessibilità”, che significa risorse da poter spendere. E nelle cifre, nelle definizioni, ci sono le persone, la loro vita, la loro possibilità di avere una vita dignitosa, di poter progettare il proprio futuro, di scegliere un lavoro, di poter contare su un sistema efficace di welfare, sulla sicurezza dell’assistenza sanitaria. Ma anche di avere il diritto di vivere in un ambiente sano, di abitare un territorio che non frani loro addosso con una pioggia violenta o durante un terremoto.

Ci sono ancora tanti numeri che avrei voglia di scrivere. Che sono quelli del femminicidio che non si ferma, quelli delle sementi salvate o delle multinazionali che si accorpano, quelli dello spreco alimentare che stiamo provando a far decrescere…problemi, risposte. Numeri e persone. Ma è solo rimettendo nel giusto ordine numeri e persone che dobbiamo provare a ricostruire l’autorevolezza delle istituzioni e della politica. E quando la realtà ti sbatte in faccia, come fa Dario di Vico sul Corriere della Sera, raccontandoci di una ricerca compiuta da Acli e Arci a Roma su un vasto campione di ragazzi, riferendo che due terzi dei giovani intervistati pur di trovare un lavoro rinuncerebbe a ferie, maternità e malattia, in sostanza a tutti i diritti conquistati in decenni di mobilitazione e di impegno affinché ci sia dignità nel lavoro…allora vuol dire che qualcosa di assai profondo si è frantumato nella nostra società.

Qualcosa che dobbiamo aggiustare prima che sia troppo tardi. Con le persone. Prima che diventino solo numeri e statistiche.

Susanna

 

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