Clima e lavoro, poi tutto il resto. Per questo serve un accordo largo

Non ricordo di aver mai visto prima queste terribili immagini di siccità: i grandi fiumi in secca, le crepe profonde nella terra, gli ulivi che perdono foglie e frutti. Non ricordo di aver mai sentito, con questa preoccupazione, i racconti che ho ascoltato in queste settimane dagli agricoltori.

Non è solo un’estate straordinariamente calda e priva di pioggia, è certamente quella più calda e siccitosa negli ultimi 70 anni in Europa. Si comincia a fare i conti molto pesanti delle rese, delle colture perdute, delle conseguenze su prezzi e mercati. Altro che aumento della nostra produzione nazionale…

Per fortuna si comincia anche a ragionare su come ci si debba attrezzare. Mi è capitato anche qualche giorno fa, durante un incontro a Rispescia per Festambiente. Il tema era esattamente questo: i modelli di agroecologia e di innovazione per contrastare la crisi climatica. Non ci siamo avventurati sui massimi sistemi, piuttosto abbiamo parlato della realtà, delle cose fatte, ma anche di ciò che si sta sperimentando e di ciò che serve. Anticipazione di alcune coltivazioni, l’innovazione nell’uso e nel riuso dell’acqua, la ricerca genetica, l’agricoltura rigenerativa, il ruolo dei consorzi nella ridefinizione di alcuni disciplinari sempre più attenti alle impronte ecologiche, l’agrovoltaico e tanto altro.

La crisi climatica è un fatto e i fatti non si rimuovono, non si possono rinviare: si può solo cercare di organizzarci per affrontarli. Subito. Come i ragazzi di Fridays for Future continuano a gridare. Dovrà essere, assieme al tema dei salari, l’assoluta priorità dei nostri programmi elettorali, delle cose da fare. La vita, il futuro, la qualità della vita delle persone adesso, dalla rivalutazione di salari e pensioni al salario minimo, dalla parità salariale alla sicurezza sul lavoro.

Poi ovviamente c’è molto altro da fare.
Per tutto questo e per evitare che l’Italia scompaia dai radar che registrano il ruolo e l’azione dei protagonisti in Europa, per non ritrovarsi – assieme a Ungheria e Polonia – arretrati sui diritti civili e dediti alla costruzione dei muri, per difendere i principi di fondo della nostra Costituzione.

Il lavoro che il segretario Letta sta facendo in queste ore è prezioso, un lavoro di tessitura di un accordo ampio tra coloro che vogliono dare un futuro all’Italia a partire da queste priorità. Noi votiamo con una legge elettorale incredibile e quasi inspiegabile agli italiani, peggiorata dal taglio dei parlamentari. Avremo liste proporzionali in cui il Pd presenterà il proprio simbolo e i propri candidati, ospitando anche altre personalità della sinistra. Poi ci sarà la partita dei collegi uninominali enormi (che, per capirsi, avranno per la Camera almeno 500.000 abitanti), in cui vincerà chi avrà un voto in più. Su questa partita, se vogliamo giocarcela, dobbiamo costruire accordi larghi. Io condivido questa scelta. È per questo che non servono veti né esercizi di ricerca delle differenze, che ovviamente ci sono. Servono, invece, un po’ di freddezza e di ragionamento: di là c’è la Meloni, con Salvini e ciò che resta di quella che fu Forza Italia, un’alleanza che guarda a modelli nazionalisti e sovranisti, che ha fatto cadere Draghi nel momento meno opportuno per mera convenienza elettorale; di qua, invece, dobbiamo provare a costruire un accordo tra coloro che credono nell’Europa, nella democrazia, nella Costituzione repubblicana, nei diritti civili e sociali, nella possibilità di dare speranza alle generazioni più giovani.

In queste ore servirebbero meno tweet, più ascolto e capacità di costruire.
Di questo si tratta, nell’interesse del nostro Paese.