Il virus non sembra intenzionato ad arretrare: ce lo dicono i numeri delle ultime settimane.
Il 29 ottobre il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha partecipato a una videoconferenza informale con i Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea sulla necessità di intensificare lo sforzo collettivo per combattere la pandemia da Covid-19 e, pochi giorni dopo, la lettura del report settimanale di monitoraggio sull’evoluzione del quadro pandemico, curato dall’Istituto Superiore di Sanità, ha reso necessario stabilire un nuovo insieme di misure restrittive.
Nel Dpcm del 3 novembre vengono, dunque, individuate 3 aree geografiche caratterizzate da diversi livelli di criticità e con misure specifiche.
Le regioni a rischio di massima gravità sono nella cosiddetta “area rossa” e hanno misure più restrittive, quello che è stato definito una sorta di “lockdown leggero”; quelle con rischio alto ma non emergenziale sono in “area arancione” e presentano misure meno restrittive, le altre rimangono in “area gialla” – giacché non si è voluto utilizzare il verde per non dare la sensazione che qualcuno fosse completamente estraneo al rischio.
L’inserimento di una regione in una determinata area deriva dalla combinazione di 21 parametri tra i quali ci sono l’indice di contagio Rt, i focolai e la situazione di occupazione dei posti letto e della saturazione delle terapie intensive negli ospedali.
Indipendentemente dalle valutazioni sulle attribuzioni dei colori alle regioni, che in questi giorni hanno fatto molto discutere, ritengo sia il momento di riscoprirsi come comunità forte e unita, che compia gli sforzi necessari in attesa del vaccino e di un rallentamento della curva dei contagi.
È quello che ci ha chiesto, nei giorni scorsi, anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: unione e responsabilità.
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