Firenze, Reggio Emilia, la Spezia, Piombino. Sono state tante lo occasioni di incontro che questa estate ho avuto di confrontarmi con agricoltori e associazioni. Tempi duri per i costi, per la siccità, per i prezzi che continuano a oscillare e a dare magro ritorno al settore primario disperdendo valore aggiunto lungo una filiera ancora complessa e poco organizzata. Qualche dato positivo su cui riflettere riguarda l’occupazione, l’export e l’industria agroalimentare, che potrebbero tenere positivamente.
Una legislatura che ha dato ben poco al settore, con quattro ministri cambiati in 4 anni e mezzo, politiche che continuano purtroppo a considerare questo comparto marginale e che invece, se leggiamo correttamente i dati e la filiera agroalimentare, rappresenta una fetta molto rilevante del Pil nazionale.
Se ci interroghiamo sulla ripresa, sul futuro nel nostro Paese, è giusto muoversi per non perdere la dimensione industriale (l’acciaio e l’alluminio), ma nella consapevolezza che molti beni di consumo possono egregiamente essere prodotti anche in altre aree del mondo, come purtroppo abbiamo già avuto modo di constatare, basti pensare alle auto.
L’agroalimentare si basa sul numero più alto di produzioni di qualità certificate, sul primato della produzione biologica, contiene ancora margini di crescita e di miglioramento, ma ci sono dei macigni da rimuovere: innanzitutto burocrazia e difficoltà nel ricambio generazionale.
Il Ministro Catania ha fatto alcuni passi importanti, a partire da regole serie per maggiori certezze sui prezzi e sui pagamenti ai produttori. È apprezzabile la sua intenzione di attivarsi per arginare il consumo di suolo agricolo e per consegnare a giovani agricoltori terre demaniali anche in affitto.
C’è pero una sfida di fondo che non possiamo non affrontare seriamente: rimettere al centro delle politiche il cibo e l’agricoltura. Solo cosi finirà una pratica di secondarietà, di separatezza e di marginalità diffusa e riconoscibile ovunque, anche negli atteggiamenti dei principali ministri economici a quelli dei media, di molte forze politiche che richiamano l’agricoltura, le produzioni di eccellenza più con fare folcloristico che con cognizione e intento riformatore. E per far questo occorre una grande volontà politica e una grande voglia di cambiare questo Paese sul serio. Lo si può fare anche occupandosi di terra e di cibo.