È passata solo una settimana dall’8 marzo – data in cui, come ogni anno, si moltiplicano le riflessioni e i dibattiti sulla condizione della donna – eppure già contiamo un altro femminicidio: Ornella Pinto, 39 anni, è morta sabato all’ospedale Cardarelli di Napoli dopo essere stata accoltellata dall’ex compagno che è fuggito, per poi consegnarsi ai carabinieri. È la 13esima vittima, solo dall’inizio dell’anno, in meno di due mesi e mezzo. È la punta dell’iceberg di un fenomeno che pare inarrestabile e per il quale la pandemia e il lockdown hanno funzionato come una sorta di detonatore, arrivando a inasprire la violenza, portandola all’estremo, soprattutto tra le mura domestiche. La battaglia per il rispetto delle donne, per la parità di genere – parità intellettuale, salariale, parità in ogni sua sfaccettatura – si combatte ogni giorno, a partire dall’educazione delle giovani generazioni. «La violenza contro le donne è espressione di una cultura di potere e di subordinazione che deve essere estirpata dalle radici; una cultura che deve essere intercettata dalle prime, apparentemente piccole, manifestazioni per prevenirne tempestivamente le conseguenze più gravi» ha detto, in occasione dell’8 marzo, la ministra della Giustizia, Marta Cartabia. E ovviamente non possiamo che essere d’accordo con lei. Per questo motivo – perché è necessario agire da un punto di vista culturale – assume un valore ancora maggiore il flashmob che si è visto in molte città italiane: protagonisti, stavolta, gli uomini con scarpe e mascherine rosse che hanno camminato portando cartelli con messaggi rivolti agli uomini per dire basta violenza contro le donne “una sconfitta per tutti”, “nulla può giustificarla”, per ricordare che “la donna non è una tua proprietà”. Perché la violenza sulle donne è un tema che deve interessare gli uomini.
