#falloperbene

“Fallo per bene”. E’ questa la raccomandazione che sin dall’infanzia ha suonato nelle mie orecchie attraverso la voce di mamma e papà, degli insegnanti. Un invito non solo a studiare correttamente, ma ad interrogarmi, capire, pensare, “dirlo con parole mie”.
Abbiamo una leadership indiscussa, alla quale va riconosciuto il merito di aver rimesso il Pd al centro dell’attenzione nazionale ed intenzionale. Di aver rotto argini, raggiunto il 40 per cento. Uno stile vivace, fermo, determinato. Renzi scandisce un ritmo sconosciuto in questi decenni al rallentatore. La sua leadership è tale anche per questo, ed è innegabile che ci sia da correre. Il tempo e la celerità. Ma occorre anche “Fare bene”.

Correre non basta, se poi dietro non c’è tutto il Paese. Se alle richieste di approfondire, di cercare un dialogo con la critica o la protesta si risponde con toni sprezzanti e liquidatori.

Io credo che il voto dell’Emilia Romagna ci abbia dato un messaggio che va ascoltato e capito fino in fondo. Se in Emilia vanno a votare solo il 37 per cento dei cittadini, non basta vincere. Certo, c’è un disamore legato alle indagini, alla pessima immagine veicolata dallo scandalo dei rimborsi, dalle dimissioni anticipate del Presidente.  Ma non può essere solo questo. C’è un disagio sociale vero (la rabbia delle periferie, il dato disoccupazione, la pressione fiscale e certo non per responsabilità di questo Governo) che noi riusciamo solo parzialmente a rappresentare. Un disagio che rischia di sfociare a destra, oltre che nel ritiro dall’esercizio democratico, se non addirittura in forme violente.

Non si può semplicemente liquidare la vecchia concertazione (che nessuno rimpiange) senza generare nuove forme di dialogo con i soggetti della rappresentanza. Nuove forme di dialogo che esortino la rappresentanza stessa a cambiare ritmo. Non si può semplicemente tagliare le risorse alle Province, senza aver chiaro un nuovo sistema di sussidiarietà e di riorganizzazione degli enti locali. Dal mio punto di osservazione vedo un ottimo ritmo nella rottura, ma qualche deficit nella ricostruzione, forse proprio per difetto di velocità a danno della profondità e della visione complessiva.

Ma forse non è solo una mia lettura. Segnalo, su questi tema, anche l’editoriale di De Rita sul “Corriere della Sera” del 2 dicembre che è una riflessione sul Paese, sul ruolo dei corpi intermedi, sull’urgenza di avere ricettori reali della pancia e del disagio del Paese. Come si correggono questi limiti? Ma, soprattutto, si vogliono correggere questi limiti?
In parte lo si fa con i normali strumenti Parlamentari, gli emendamenti, la discussione. Sulla stabilità io credo che in parte la cosa sia avvenuta, ad esempio rivedendo il tema del tetto di reddito per il “bonus bebè”, o correggendo alcuni aspetti della riforma Fornero grazie ai nostri emendamenti.

In parte ancora lo si fa con l’ascolto vero dentro al nostro Partito e con un partito capace di ascoltare il Paese e di camminare in modo compatto, costruendo la condivisione.

Spiego meglio nelle news, della mia difficile scelta sul job’s act.  Non ho mai votato in precedenza in dissenso dal mio gruppo. Per quanto mi riguarda quel mancato voto non è certo l’inizio di un atteggiamento ostile, e sono lontana mille miglia da alcune delle dichiarazioni che ho sentito fare da alcuni colleghi.  Sono capace di distinguere e di riconoscere le buone cose, come l’impegno sulla trattative per Terni. Ma ci sono momenti nei quali occorre che l’ascolto torni ad essere esercitato e se non lo si fa bisogna suonare il campanello. Molti di voi non saranno d’accordo con me, altri probabilmente sì e incolti mi hanno scritto. Ma se siamo il Pd, dobbiamo essere capaci di confrontarci anche su punti di vista diversi, fare passi avanti assieme e non limitarci a mettere in un angolo le opinioni differenti.

Se non ci si ascolta non si porta dietro il Paese e si perdono interi eserciti per la strada. Se vogliamo far bene le riforme abbiamo bisogno di avere il Paese con noi, anche quello che il 25 ottobre era in piazza, perché una grande fetta di quella piazza è fatto da nostro elettorato e noi non possiamo mollarlo, prenderlo a schiaffi, o liquidarlo con battute feroci sullo sciopero e sui ponti.
Concludo sulla legge di stabilità, che abbiamo appena licenziato. Si tratta di una  manovra importante e in parte coraggiosa che, certo, non contiene tutto quello che servirebbe al Paese, ma che parla ad imprese e famiglie. Credo che dobbiamo provare a fare ancora di più per la povertà che purtroppo sta crescendo. Spero che venga migliorata, al Senato, la parte che riguarda i tagli agli Enti Locali. I colleghi ci stanno lavorando con il Governo.

Davanti a noi ci sono ancora le riforme costituzionali, la legge elettorale e, presto, l’elezione del Presidente della Repubblica. Dobbiamo affrontare bene questi passaggi, che significa usare lo spirito della costruzione piuttosto a quello dei diktat,  dedicarci alle discussioni (certo non infinite) e al riconoscimento.

Da ieri sera le agenzie battono a ritmo serrato le news sulla “cupola Romana”. Decine e decine di arresti. Altrettanti indagati. Politica, affari,  nomi ben conosciuti ed altri meno noti. L’ex sindaco Alemanno è coinvolto pesantemente, ma anche figure vicino al nostro partito sono chiamate in causa.

E’ un’altra di quelle ondate che racconta del livello di corruzione e di infiltrazione del malaffare dentro alle istituzioni e che, di certo, non aiuterà a riaccreditarci davanti al mondo. Ma è anche un’altra di quelle pagine che ci chiede ti tenere assieme l’Italia onesta per cambiarla, per mettere in un angolo definitivamente quella cosiddetta “terra di mezzo”.

Questa è la selezione da fare: tra l’Italia onesta e i furbetti, i mascalzoni,  che hanno saputo galleggiare  e alimentarsi di risorse pubbliche indipendente dal colore dei Governi.

Teniamola assieme questa Italia onesta, anche se pone quesiti, anche se non tutto è spianato. C’è bisogno di “Sì” e di tenere il tempo, non c’è dubbio, ma se per definire il “come” (nelle riforme) ci vuole un giorno o una settimana in più, non mi pare una cosa impossibile da fare.

Si può fare presto e si può “Fare per bene”.

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