Far tornare a l’Aquila il rumore della vita

Non appena è stata annunciata dal Ministro Vito la 36esima richiesta del voto di fiducia, già preannunciata, stavolta sulla manovra, ci siamo avviati verso i pullman. In 140 abbiamo scelto di andare a l’Aquila e lo abbiamo fatto con la consapevolezza che non sarebbe stata una “passeggiata”, che avremmo fatto i conti con una popolazione che per mesi ha visto sfilate di politici, che vive ancora in situazioni drammatiche, senza lavoro, casa e con la totale incertezza sul futuro, e che l’ultima volta che ha tentato di manifestare la propria situazione è stata caricata dalla polizia, come si fa (forse) con una manifestazione non autorizzata di hooligans ubriachi.
Lo sapevamo che avremmo incontrato rabbia e sfiducia. Ma chi continua a credere che la politica, il ruolo parlamentare, istituzionale, abbiano un senso, sa che il disagio, le critiche, i fischi vanno anche presi, e che guardare in faccia le persone è l’unico modo per stabilire un contatto con le persone stesse. Lo abbiamo fatto, ed io sono contenta di aver deciso subito di aderire all’iniziativa del mio Partito. Molti di noi erano già andati subito dopo il sisma, con le proprie commissioni. Giovanni Lolli, nostro collega, aquilano, anche lui con la casa distrutta, ci raccontava passo dopo passo di quella notte, dei morti, delle zone più colpite.
In periferia le immagini che per mesi le tv hanno rimbalzato nelle nostre case: le casette costruite (quelle con i mobili ikea, la tv e la bottiglia di spumante) che il premier ha inaugurato. Importanti, certo, ma poche. Poi gli occhi e lo stomaco vedono quello che a nessuno da un anno a questa parte è stato mostrato: la realtà dei fatti. E la realtà è il vuoto, è il silenzio, è l’infinito ripetersi di ponteggi, calcinacci, crepe enormi o comunque porte e finestre che hanno un assetto innaturale. E’ il Palazzo di Giustizia, l’università, è quello che resta della residenza per gli studenti. E’ il silenzio mortale che ci accoglie dentro la zona rossa, dove percorriamo strade e piazze deserte, “scortati” da cani randagi che forse sono appartenuti a famiglie che non ci sono più, e che seguono questo corteo silenzioso di caschi bianchi.
Una città dove non si sente alcun rumore di vita che scorre, perché vita non c’è più. Una città vuota. Una città fantasma. Mi sono chiesta cosa fosse rimasto dietro quelle porte e quelle finestre: mobili, ricordi, foto, effetti personali… Svegliarsi una mattina, realizzare che nell’immediato si ha la fortuna di essere vivi… e poi? Poi si reagisce, con dignità come gli Aquilani hanno fatto, si va in tenda, si apprezza la solidarietà, poi si cerca di capire che non arriverà presto una risposta, si comincia a recuperare qualche cosa, qualcuno – con i mesi . ha la possibilità di avere uno degli appartamenti provvisori… ma la massa degli aquilani di cui nessuno parla? Tutti quelli che, come ognuno di noi, aveva una casa, per la quale paga un affitto o un mutuo, che adesso non c’è più?
Tutti quelli, appunto, si sono organizzati autonomamente: da parenti, da conoscenti, senza sapere quando e se potranno tornare nella propria casa. Il sindaco Cialente ci dice con chiarezza, mostrandoci la distruzione e sciorinando cifre, che ci vorranno decenni per ridare al centro storico della città una vita, e soprattutto ci vorranno risorse, tante risorse.
La serata si conclude con l’incontro sotto la tenda nella piazza centrale con i comitati dei cittadini. E’ il momento di maggiore tensione e non ci viene risparmiato niente, ma, appunto, lo sapevamo che sarebbe stato così. Le voci si alternano al microfono, ma anche in giro, i colloqui con i singoli Aquilani ci aiutano a capire in profondità quanto si può capire solo stando lì. Ascolto con l’amaro in bocca al microfono una signora che ricorda le assenze di 6 deputati del Pd al voto sullo scudo fiscale, la mia smorfia di disappunto non sfugge ed un aquilano che si avvicina e mi dice “vedi, io mi sono trovato in mutande, ferito, e poi mi sono risvegliato in ospedale. Addosso avevo una tuta che era arrivata non so da dove. Non avevo nient’altro… dovete capire”.  E io capisco e mi faccio passare tutti i groppi allo stomaco del mondo. Possiamo dare una mano solo se assumiamo il loro punto di vista, non se manteniamo il nostro. E’ quello che proviamo a fare, è quello che fa Bersani ascoltando tutti e rispondendo, assumendo impegni che so che rispetteremo: impegnarci per soldi e tempi certi per la ricostruzione, una proposta di legge di iniziativa popolare, una tassa di scopo per ricostruire. So che lo faremo perché gli occhi degli Aquilani sono dentro ad ognuno di noi. So che lo faremo perché dobbiamo ridare a quella città i rumori della vita.
Alla fine sono gli applausi a salutare lui e noi, mentre sotto la pioggia torniamo al pullman. Sarà un ritorno silenzioso, quello verso Roma. Ma le nostre 140 teste sono in moto per l’Aquila e chi se ne frega se qualche giornale parlerà solo dei fischi. Noi oggi dovevamo essere qui.

Video, foto e cronaca della giornata sul sito del Pd nazionale

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