Genova, e non solo. Alla ricerca dell’entusiasmo

Qualche sera fa ho sentito un’intervista a Marco Doria, vincitore delle primarie a Genova, e ad alcuni cittadini che lo hanno sostenuto e votato: giovani, donne, portuali ed esponenti della Genova bene. La cosa che più mi ha colpito è stato l’entusiasmo, la testimonianza dei chilometri e delle scale percorse per sostenerlo. Mi ha colpito perché da troppo tempo non vedevo quell’entusiasmo e quella speranza. Sono i volti di coloro che si muovono per passione politica, che credono in un progetto e, in questo caso, in un’idea di città.
Non conosco Doria e non sono in grado di esprimere una valutazione su come ha lavorato il sindaco Marta Vincenzi, né sulle ragioni che hanno portato la Pinotti a competere contro di lei nelle primarie, ma è innegabile quanto i risultati ci hanno consegnato: la città non ha creduto in loro, e forse ha diffidato del Pd, o quantomeno di un Pd così rappresentato.

Può darsi che la mia analisi sia frettolosa, ma non posso fare a meno di pensare che il Pd ha messo in scena prima di tutto le sue divisioni, mentre Doria ha generato entusiasmo e forse anche per questo, oltre ai suoi sicuri meriti e alle sue qualità, ha vinto.

Se è così, le domande cominciano a sommarsi, almeno per quanto mi riguarda.

Parto dalla prima: io sono convinta che le primarie siano uno strumento importante per aprirsi, per misurare consenso, per offrire opportunità di scelta, ma questo non ci esime da un lavoro permanente di relazione con gli elettori e con i cittadini. Se scopriamo, con i risultati delle primarie, che non c’è sintonia tra i candidati Pd e l’elettorato, il problema non è solo dei candidati sconfitti ma del Pd intero, della sua capacità di essere in sintonia con i cittadini.

La seconda: il livello, oramai impressionante, della sfiducia dei cittadini verso i partiti ci mostra la stanchezza verso un’immagine (e forse una sostanza?) delle forze politiche e dei loro rappresentanti, molto concentrati nei ragionamenti su assetti e alleanze, e troppo poco presi dal perseguimento di obiettivi di cambiamento e di costruzione di nuove risposte ai problemi. È vero o è una percezione sbagliata?

La terza: è possibile che proviamo ad affrontare il tema degenerazione correntizia senza che questo venga percepito come una “aggressione al pluralismo”? Io ritengo che troppo spesso prevalga l’immagine delle nostre differenze sulle ragioni del nostro essere una comunità, un soggetto che è nato per cambiare l’Italia. E questo è un problema che ci riguarda tutti, nessuno escluso. C’è molto da lavorare, ma o lo si fa o si muore, ed io credo che il tempo non sia molto.

Bersani si sta impegnando, e insieme a Franceschini sta accelerando relazioni e confronti sulla riforma elettorale, sulle riforme istituzionali e sulla trasparenza nel finanziamento dei partiti. Ma questo impegno non può limitarsi a operazioni di vertice. Si tratta di capire, adesso, come un partito che vuole cambiare il Paese e la politica possa rinnovare la sua relazione con l’opinione pubblica, le forme e i luoghi della partecipazione dei suoi aderenti. Ma si tratta anche di spiegare come si finanzia e come vive un partito, come torna a produrre cultura politica oggi, individuando la sua idea di “Mondo dopo la destra”, riprendendo il titolo di un bel seminario organizzato a Roma nei giorni scorsi. Possiamo farlo, abbiamo le risorse, ma rischiamo di annegare dentro a distinguo qualche volta davvero poco appassionanti, come la pseudo distinzione tra socialdemocratici e liberaldemocratici (in merito vi segnalo la bella riflessione di Alfredo Reichlin).

In Toscana si sta aprendo il percorso che ci porterà alla conferenza programmatica e, quindi, a un aggiornamento di programmi, idee, visioni del mondo e del quotidiano. Facciamolo nel modo più aperto e innovativo. Facciamolo senza steccati.

A Monti spetta il compito di guidare il Paese fuori dal baratro, ai partiti quello di lavorare per l’oggi e per il dopo: generare cultura politica e progetti di cambiamento, lavorare per realizzarli, appassionare, essere la comunità di tanti, delle idee e dei valori.

Susanna Cenni

6 thoughts on “Genova, e non solo. Alla ricerca dell’entusiasmo

  1. Condivido in pieno l’analisi sintetica ma completa. Purtroppo finisco oggi 82 anni e non sono in grado di offrire alla comunità ciò che ho potuto dare, disinteressatamente, quando militavo nel PRI di Ugo La Malfa. Spero che i giovani leggano quanto scritto sopra e ne traggano le conseguenze. Facciamo passare per loro il messaggio che la partecipazione alla vita pubblica è importante perché la democrazia non muoia. Troppo comodo, ma pericoloso è rinunciarvi e poi criticare. si rischia di lasciare la politica ad un insieme di paranoici egoisti con deliri di grandezza che riducono la politica al servizio dei loro interessi e non a quelli della comunità. Saluti P.G.

  2. Non conosco la situazione di Genova, ma non vedo come di fronte a primarie di coalizione, presentando tre candidati si possa sperare di avere successo. Questo vale per tutte le primarie, se il P.D. non riesce a trovare una sintesi unitaria e continua a presentarsi con tutte le sue contraddizioni, difficilmente troverà un candidato in grado di avere la meglio.
    Questi fatti speriamo ci insegnino qualcosa, altrimenti per le primarie delle prossime elezioni politiche saranno guai seri.
    P.S. comunque le primarie vanno difese a tutti i costi!!!!!!!
    Saluti mario

  3. Credo che insieme al montante sentimento pericolosamente populista che si esprime contro “la casta” , la società sappia ancora esprimere voglia di buona politica e le vicende di varie primarie nel passato e nel presente lo stiano dimostrando. Qualcuno ha detto che il PD si offre come il soggetto politico che intende governare questo sistema, piuttosto come chi vuole cambiare il sistema. Di un progetto chiaro e serio di cambiamento da sinistra tante persone sentono il bisogno. Cambiare non solo le facce o i modi del comunicare, ma lanciare un’offerta forte e contemporaneamente chiara di cambiamento, intorno ai temi del lavoro, della sanità, della scuola, della ricerca, dello sviluppo che tenda a ricnoscere che un certo modello occidentale e’ in crisi, ma da questa crisi bisogna inventare un’usicta a sinistra. Che oggi vuol dire ripensar in maniera innovativa il modello europeo di società. Aprire canali di comunicazione con i giovani, ascoltarli, intercettarli nei luoghi della loro elaborazione, senza paternalismi, aprire porte e finestre alle contaminazioni di pensieri differenti.Il cammino è lungo e aspro e puo’ portare anche ad un rimescolamento delle espressioni politiche così come le conosciamo adesso; non mi pare infatti che il PD attuale sappia muoversi in questa realtà. Le divisioni interne non sono che l’espressione di una difficoltà reale ad elaborare un progetto, perche’ le divisioni sono profonde su temi cruciali e, visto che accompagnano il PD dalla sua nascita senza trovare una sintesi, questo mi sembra significare l’incapacità di una sintesi politica condivisa e all’altezza delle sfide..

  4. Condivido a pieno l’intervento di Susanna
    Questo e’ quello che voglio sentire dalla politica in questo momento . Sapere ascoltare la gente, di pensare fuori dagli schemi tradizionali , di avere la voglia di intraprendere nuovi percorsi, di non focalizzarsi sulle ideologie , ma pensare alle cose pratiche.
    Occorre onesta’, la voglia di siemplificare le cose e tanto pragmatisco…

  5. I vostri commenti offrono tanti spunti di riflessione. E vi ringrazio per questo.
    Sono molto d’accordo con Lucia, il Pd ha senso se si propone come soggetto di cambiamento del sistema e della societa’. E’ questo che anche io faccio ancora fatica a Vedere fino in fondo. Vedo idee, teste, interessanti, potenzialmente un portento…e poi vedo sbattere tutto questo contro un muro invisibile… Io credo ancora che il Pd possa esserlo, ma credo anche che non dobbiamo nasconderci i problemi ed andare avanti.
    Nessuno vuol tornare indietro rispetto alle primarie, ci mancherebbe Mario, ma e impensabile che deleghiamo ad uno strumento ciò che non riesce a fare la politica…

  6. Che dire, l’analisi di Susanna è interessante e ha molti spunti seri di rilfessione, ma elude il cuore del problema e secondo me non trova il coraggio di denunciare quel gap di democrazia interna che sta soffocando il partito. Come spiegarsi altrimenti le “primarie governate” dal partito e dalle corrente nella nostra amata terra, i rinnovi degli organi provinciali con liste bloccate e candidati “fuori comune” catapultati dai capicorrente per garantire chissà quali equilibri. Che capacità e libertà di scelta possono avere i dirigenti politici del partito se esercitano un potere delegato, non dagli iscritti, ma dai “colonnelli” di provincia: crediamo che possano o sappiano individuare i migliori candidati disponibili o i “più sponsorizzati”. . Bisogna constatare che i candidati ufficiali del partito “soffrono” un pò ovunque, che il PD ha perso città e sfide importanti, quando i segnali di sofferenza erano già, fin troppo, evidenti: se le dinamiche democratiche interne al Pd non subiranno una netta inversione, se non cesserà la dicotomia – sempre più evidente – DS, Margherita, se non ci sarà un’apertura vera e un confronto leale con il “modno esterno”, i soliti noti continueranno ad avere i seggi garantiti ma il partito continuerà a perdere consensi. Mi scuso con tutti, per la durezza delle affermazioni, che pur sincere e sentite, “competerebbero” ad un militante e non a chi, come me, ha deciso di arrendersi difronte all’evidente impossbilità di convivere democraticamente nel PD.

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