Giovani agricoltori dalle ideebuone e chiare: il mio intervento sull’Unità di oggi

Oggi l’Unità ospita una mia riflessione su “We Feed the Planet”: l’evento promosso da Slow Food, in programma dal 3 al 6 ottobre a Milano, che ha l’obiettivo di portare a Expo centinaia di giovani contadini provenienti da tutto il mondo. Per chi ha voglia di leggerlo condivido volentieri il testo e il pdf dell’articolo Cenni_06.10.2015

Cosa è che porta a Milano, oltre 2000 giovani che arrivano da tutto il mondo ad incontrarsi, discutere dalle 10 del mattino alle 20 della sera, per quattro giorni di seguito, in sette sale che lavorano contemporaneamente, allestite con semplicità e materiali riciclabili, di nuovi sistemi alimentari, di migrazione, di acqua, suolo, beni comuni, semi, donne, equità, diritti, ricerca?

Sono agricoltori, studenti, studiosi, competenze, curiosi, ambientalisti, professori, o semplici volontari. Ascoltano Latouche e Alice Waters, agronomi, filosofi e scienziati, così come Carlin Petrini e gli altri dirigenti di Slow Food.
Jeans, magliette, scarpe, da ginnastica, tessuti coloratissimi, ragazze con turbanti e fazzoletti arrotolati attorno alla testa. Zainetti, blocchi, quaderni. Seduti su sgabelli di cartone o in perfetta posizione yoga, a gambe incrociate. È bellissimo l’impatto con immersione tra volti, lingue, colori differenti e questa trasversale gioventù affamata di domani e innovazione. 2000 persone che non lasciano in giro né cartacce né lattine, consumano i loro pasti in contenitori in carta, e tutto viene rigorosamente separato e raccolto. Anche nei punti di ristoro, le decine di volontari sono tutti giovanissimi.
Seguono numerosi i vari e differenti workshop, intervengono con competente curiosità. Ti spiazzano con i quesiti della loro quotidianità, ti riportano a terra quando le tue parole sono quelle troppo teoriche della politica, delle intenzioni, delle norme di legge.

Mi chiede la giovane ragazza indiana “Tu parli di modelli agricoli altri, di semi selezionati dagli agricoltori, ma come fa un contadino indiano che deve mandare a scuola i suoi figli e pagare un affitto, a difendersi dal dominio delle multinazionali che gli impongono una monocoltura con rese più alte che lo fanno guadagnare meglio?” E invece il ricercatore del Perù ti racconta che sono stati proprio i villaggi e gli anziani, con orgoglio, a rifiutarsi di coltivare le sementi delle multinazionali. Si dibatte di povertà, di economia, di leggi e di trattati. E ancora una ricercatrice calabrese: “Lo sa che alcuni anziani, quando andiamo a cercare le vecchie varietà, vengono presi in giro da chi pensa che se si riproducono i semi sono visti come quelli che non hanno un euro per andare a comprare le piantine al vivaio o al consorzio agrario? Come possiamo fargli capire che non è così?  E che il nostro è un lavoro serio? Dovete aiutarci.

Sono lì perché hanno un’idea di futuro. Perché vogliono affermarla rispondendo a questioni fondamentali come la possibilità di produrre cibo con equità, redistribuendo ricchezza e opportunità, senza intaccare il patrimonio alimentare globale, adottando nuove strategia per i beni comuni.

Hanno idee, progetti ed energia. Chiedono alla politica di fare di più, in Europa, nelle sedi internazionali.  Quante volte parliamo del futuro dell’agricoltura e dell’alimentazione? Bene loro “sono” il futuro dell’agricoltura e dell’alimentazione, e vale davvero la pena di ascoltarli più che di interpretarli o di parlare per loro conto. Del resto, il titolo di questo appuntamento è “We feed the Planet” e quel “we” è una scelta, un’assunzione di responsabilità e dai report, uscirà una “lettera aperta al mondo” di cui sara utile far tesoro.

Expo riuscita, partecipata  si avvia verso il gran finale e adesso la scommessa più grande sarà misurata dalla ricaduta e gli effetti degli impegni assunti in quei padiglioni, sottoscritti da cittadini e istituzioni, uomini e donne di impresa, cultura e politica. Anche il Pontefice nell’enciclica chiede fondamentalmente una cosa: salvare il pianeta, alimentare il mondo, cambiando sul serio il paradigma di sviluppo e crescita. La vicenda Volkswagen ci dice quanto siamo lontani da questa svolta, i disastri prodotti dalle continue e gravi alluvioni quanto il tempo stia per scadere, e la migrazione epocale in atto quanto sia profondo il mutamento.

Loro, quella generazione, in campo ci sono già e  hanno idee piuttosto chiare sulla direzione da prendere. A noi, che facciamo politica, è chiesto di non sbagliare e di non sottrarre loro altro futuro.

Susanna Cenni
Deputata Pd

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