Greenwashing: il testo della risposta del viceministro Bellanova

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN X COMMISSIONE CAMERA

 

  1. 5-08580 On Cenni ed altri

                              

ELEMENTI DI RISPOSTA

 

 

In merito alle questioni evidenziate nell’atto in esame, per quanto di competenza del Ministero dello Sviluppo economico rappresento quanto segue.

 

Gli Onorevoli interroganti richiamano l’importanza acquisita nell’ambito della filiera produttiva dalle numerose tipologie di certificazioni e dichiarazioni ambientali volte ad esplicitare la sensibilità, l’attenzione alla sostenibilità e alla provenienza di prodotti artigianali, industriali o alimentari.

Tali attestazioni contribuiscono in modo determinante all’incremento delle capacità imprenditoriali delle imprese, in particolare delle medio-piccole, e sono in grado di influenzare le scelte di consumo.

A fronte di tali positive conseguenze, tuttavia, gli interroganti evidenziano l’affermarsi del correlato fenomeno del greenwashing, ovvero della pratica ingannevole adottata da alcune aziende che, per migliorare la loro reputazione, intraprendono una strategia di comunicazione il cui obiettivo è la costruzione di un’immagine positiva dal punto di vista del rispetto dell’ambiente, senza però di fatto applicare delle regole vere, che aiutino la sostenibilità dei processi produttivi.

Detto fenomeno costituirebbe una forma di contraffazione che inganna i consumatori e conseguentemente crea gravi danni all’ecosistema, incentivando di fatto l’acquisto di prodotti e lo sviluppo di metodi di produzione non compatibili con la sostenibilità ambientale, sottraendo, inoltre, risorse allo Stato, all’economia trasparente, al lavoro regolare.

Tale fenomeno sarebbe favorito essenzialmente dalla mancanza di controlli in quanto per parte delle certificazioni in discorso è sufficiente un’autocertificazione da parte dell’azienda ed inoltre perché in Italia non esiste un ente preposto a vigilare sulle false campagne pubblicitarie green.

Preliminarmente, occorre evidenziare  che il 27 marzo 2016 è entrato in vigore l’art. 12 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale secondo il quale “La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono” e che, pertanto, impone direttive certe per poter utilizzare claim ambientali, vietando di alludere a caratteristiche del prodotto qualora non vengano provati scientificamente. Va precisato, però, che trattasi di una regolamentazione su base volontaria riconducibile ai Codici di condotta previsti dal Codice del Consumo (artt. 27-bis e 27-ter).

Inoltre, si fa presente che anche i diversi sistemi e modalità di qualificazione “ecologica” di prodotti (Marchio Ecolabel – e Dap), processi produttivi (Sistema di gestione ambientale) o “Siti produttivi” (Registrazione Emas), cui fanno riferimento gli Onorevoli Interroganti, hanno in comune il fatto di essere utilizzati dagli operatori economici su base volontaria.

Ciò significa che non sussiste l’obbligo di ottenere il marchio Ecolabel per poter vendere determinati prodotti così come non sussiste nessuno obbligo per un’impresa manifatturiera o di servizi di ottenere la registrazione Emas del proprio sito produttivo.

Premesso quanto sopra, si osserva che in base al regolamento (CE) n. 765/2008 che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti, tutte le certificazioni rilasciate da Organismi di valutazione della conformità accreditati da un Organismo nazionale di accreditamento di uno Stato dell’UE, anche se rese su base volontaria, sono e devono essere riconosciute in tutto lo Spazio economico europeo. Spetta, pertanto, agli Organismi nazionali di accreditamento, sottoposti a vigilanza statale, il compito di controllare gli organismi di valutazione della conformità ai quali hanno rilasciato un certificato di accreditamento.

Il Ministero dell’Ambiente, sentito al riguardo per quanto di competenza, ha altresì comunicato che le “dichiarazioni  ambientali di prodotto” sono accompagnate obbligatoriamente da  una verifica di “parte terza” (ISO 14024 e ISO 14025),  indipendentemente dall’esistenza di un obbligo di legge. Infatti, anche nel caso di autodichiarazioni rilasciate in base alla norma 14021, è richiesto che le stesse siano verificate da parte terza.

 

Per completezza di informazione, il Ministero dell’Ambiente ha segnalato che a quanto sopra indicato, si aggiungerà nel prossimo futuro anche il “Made Green Italy” che sostanzialmente si configurerà come una etichetta di tipo III, quale la DAP, che contiene  una quantificazione degli impatti ambientali associati al ciclo di vita del prodotto.

In relazione, infine, alla preoccupazione esposta dagli Onorevoli Interroganti circa il fatto che le pratiche di greenwashing potrebbero configurare ipotesi di pratiche commerciali sleali e/o di pubblicità ingannevole, rammento che tali materie rientrano nell’ambito di competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

A tal proposito, si ricorda che la vigente normativa in materia di pratiche commerciali scorrette a danno dei consumatori e delle micro-imprese trova disciplina nel c.d. Codice del consumo (Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206) e, in particolare, negli artt. 21-23, nonché negli artt. 24-26 contenenti le correlate tutele e rimedi in caso di riscontrata violazione mediante l’intervento della predetta Autorità la quale può inibire la continuazione delle pratiche commerciali scorrette, eliminarne gli effetti nonché irrogare le correlate sanzioni.

Inoltre, con specifico riferimento alla pubblicità ingannevole si richiama il decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, di attuazione dell’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE, il quale ha lo scopo di tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, nonché di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa. In particolare, l’art. 8 del citato decreto legislativo reca la disciplina della tutela amministrativa e giurisdizionale della materia, attribuendo, sempre all’AGCM ampio potere d’intervento.

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