Imprese agricole, perché non tentare un fronte comune con le pmi artigiane, turistiche e del commercio?

La nascita di Rete Impresa Italia è un fatto molto rilevante, una scelta illuminata del mondo produttivo Italiano, e credo che il diffuso riconoscimento, l’attenzione che i media e la politica hanno riservato qualche settimana fa all’evento di presentazione a Roma non debba calare, ma debba tradursi in fatti ed atti concreti. E’ bene non dimenticare che la spina dorsale della nostra economia è rappresentata proprio dalla piccola e media impresa (e lo sappiamo bene in questa parte del paese) che oggi soffre pesantemente  la crisi, la stretta creditizia, le difficoltà a resistere alle inedite oscillazioni dell’epoca che stiamo vivendo e che purtroppo non sono destinate a finire a breve. Artigianato, commercio, turismo e – perché no – agricoltura.

Devo ammettere che è la prima domanda che mi sono fatta di fronte alla nascita dell’alleanza in Italia tra Confesercenti, Cna, Confcommercio, Confartigianato e le altre sigle coinvolte nell’operazione Rete Impresa Italia: “perché non ci sono anche le sigle agricole?” Perché non tentare la costruzione di un terreno comune per contare di più nelle sedi di confronto con istituzioni e non soltanto? Il tema che la Cia Senese ha lanciato qualche giorno fa sulla stampa locale  è quello di un fronte tra le associazioni agricole, fatto di per sé certamente importante ed auspicabile, ma io rilancio e chiedo: se è vero, come io credo che sia, che il rilievo dell’agricoltura passa dalla sua capacità di comunicare trasversalmente, di essere percepita come attività che ha rilievo non solo per la produzione primaria, ma anche per la trasformazione, così come per la distribuzione commerciale, per l’ambiente, per il paesaggio, per la salute dei cittadini, perché, allora, non tentare un fronte comune della piccola e media impresa? Tra l’altro quella piccola e media impresa con cui si possono strutturare relazioni di filiera importantissime, che potrebbero produrre valore aggiunto e competitività e che invece quando non nascono producono conflitti e competizione.

In alcune aree del Paese (alcune province lombarde), a dire il vero, la cosa è anche successa, mi risulta coinvolgendo anche Cia e Coldiretti, ma non ne conosco l’evoluzione. Se consideriamo che un pezzo rilevantissimo dell’economia del nostro territorio è rappresentato proprio da commercio, turismo, artigianato ed agricoltura, viene da chiedersi perché Siena non possa rappresentare proprio un’esperienza innovativa in questa direzione.

Sarà  il mondo agricolo nella sua piena autonomia a fare le proprie scelte, ma il tema di una maggiore forza contrattuale di questo comparto esiste senz’altro, come sottolineato in questi giorni dalle sigle agricole riunitesi a Siena per l’assemblea annuale dell’Unione provinciale agricoltori. Esiste ovunque, anche per l’idea purtroppo ancora diffusa (e non sempre corrispondente al vero) che quello primario sia un settore che beneficia di tanti contributi pubblici. Ma molte imprese agricole vivono oggi una sofferenza senza precedenti, spesso silenziosa: una sofferenza che rischia di non avere adeguata visibilità e rilievo. Una sofferenza che merita la massima attenzione politico istituzionale, che si attende dovute risposte dall’aggiornamento delle regole della Pac, ma che dovrà necessariamente fare sempre più i conti con mercati ed oscillazioni. E per stare sul mercato occorre avere le spalle robuste.

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