Al via alla Camera dei deputati la discussione del disegno di legge sulle “Disposizioni anticipate di trattamento” (Dat). Una legge giunta in aula dopo oltre un anno di approfondita discussione in commissione. Un tema delicato ed importante. Un tema che riguarda tutti.
Il testo è composto di cinque articoli e regolamenta le decisioni sul fine-vita affrontando i temi del consenso informato e di dichiarazione anticipata di trattamento. Si tratta, appunto, di decisioni che riguardano situazioni irreversibili di fine vita, dopo lunga malattia. Di scelte che si possono compiere, in condizioni di lucidità, esprimendo in forma scritta, o in altra forma la propria volontà di dire no a trattamenti invasivi, all’accanimento terapeutico, ai trattamenti artificiali, qualora ci trovassimo in quelle condizioni in cui c’è irreversibilità della condizione di salute e di sofferenza, nella fase finale della vita. E’ una possibilità che si dà al paziente di scegliere, di poter dire “basta, adesso lasciatemi andare”. Il tutto discende da principi basilari come il diritto alla salute, all’autodeterminazione nelle scelte terapeutiche, al principio consensualistico nei trattamenti sanitari, al rapporto medico paziente. Non so se è un testo perfetto, ma è un testo di civiltà. C’è un consenso molto vasto e c’è stata una lunga e seria discussione. Proprio per questo non sono più ascoltabili le parole di chi continua a parlare di testo “eutanasico”, di chi parla di “morte per fame e sete”, di fronte alla possibilità di rifiutare sondino o respiratore.
L’eutanasia, tema assai diverso, complesso (sulla quale tra l’altro in alcuni casi io sono tendenzialmente d’accordo) non c’entra niente con quanto stiamo votando adesso. Dovremmo lasciare l’ipocrisia fuori dalle aule parlamentari.
Ognuno è libero di fare le proprie scelte, ma non di imporle agli altri. Uno Stato civile, uno Stato che rispetta il principio di laicità si ferma sulla porta e lascia alle persone – con le loro famiglie, con i medici che ne hanno seguito malattia e cure – la libertà di scegliere quanto far durare un’agonia, e magari di finirla, se non se ne può più, quell’agonia tra le braccia dei propri cari.
Condivido totalmente