Una grande occasione mancata. Ecco cosa è la legge sul ‘codice rosso’ che questa settimana è stata approvata alla Camera. Un testo che ancora una volta si caratterizza per una sola cosa: l’aumento di qualche anno delle pene. Che ha tentato di introdurre la cosiddetta “castrazione chimica”, che ha imposto un testo voluto dalla Ministra Bongiorno senza consentire al dibattito parlamentare di emendare e migliorarne i contenuti. Una scelta grave su un tema che da sempre ha visto raggiungere posizioni unanimi. Si è scelto la logica delle bandierine e non dell’interesse delle donne e del Paese. Il Pd ha scelto di astenersi, come spiega bene nella sua dichiarazione di voto Lucia Annibali, nella speranza che al Senato si possa migliorare. Il provvedimento ha fatto molto discutere, portandoci a una dura battaglia parlamentare per convincere Lega e 5stelle ad approvare l’introduzione del reato di revenge porn. Una battaglia che abbiamo vinto, unendoci e unendo tutte le donne. La scorsa settimana insieme alle colleghe di Forza Italia, Fratelli d’Italia e LeU, siamo intervenute per ore e siamo giunte ad occupare i banchi del Governo per protestare contro la maggioranza che aveva già iniziato a bocciare gli emendamenti sul revenge porn. È stato un gesto estremo per chi come me crede nelle istituzioni e le rispetta. Sul corpo delle donne non possono esserci mediazioni. E per fortuna il ripensamento della maggioranza sul revenge porn è arrivato. Il ‘codice rosso’ rimane un provvedimento lontano dalle priorità che servono per accrescere il contrasto alla violenza di genere. Un’opinione espressa anche dalle tante le associazioni impegnate nella tutela delle donne che hanno bocciato senza mezzi termini la legge. Per combattere la violenza contro le donne non servono pene più pesanti, ma pene certe. Servono formazione, risorse (che non ci sono nel provvedimento), è necessario un salto di qualità nella cultura di genere, che al momento non vediamo. Nel testo ci sono grandi assenti: ovvero tutto ciò che serve veramente dal punto di vista culturale a prevenire la violenza di genere e a rieducare l’autore del reato per prevenire le recidive. La violenza di genere, infatti, come recita bene la Convenzione di Istanbul, si combatte in modo trasversale, con la cultura, con l’educazione, con i servizi, con la formazione, con città sicure e vive e con certezza della pena. E in questo provvedimento non c’è nulla di tutto questo.
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