Il Parlamento europeo ha approvato definitivamente a Strasburgo, con 480 voti a favore, 159 contrari e 58 astenuti, la nuova direttiva Ue che permetterà agli Stati membri di vietare, sul proprio territorio, la coltivazione di organismi geneticamente modificati (ogm) già autorizzati a livello comunitario. Le nuove norme entreranno in vigore già a partire dalla prossima primavera. Dopo la nostra mobilitazione, i nostri atti, le norme di Governo, Parlamento e Regioni, arriva una buona notizia per l’agricoltura di qualità e si compie un passo in avanti importante per la tutela della biodiversità. Un primo risultato (Vandana Shiva ha parlato di bicchiere mezzo pieno) di cui va dato merito al ministro Martina, e al Ministro dell’Ambiente, fermi nella posizione italiana di tutela della biodiversità e di salvaguardia del diritto di ogni Paese membro di coltivare o meno Ogm. Con le nuove norme, gli Stati membri contrari alla coltivazione di un nuovo ogm sul loro territorio potranno segnalare la propria opposizione già durante la fase di autorizzazione comunitaria, chiedendo di modificarne il campo di applicazione geografico. Un’altra novità è che gli Stati potranno proibire la coltivazione non solo di un singolo ogm, ma anche di anche di un gruppo di ogm con caratteristiche comuni. Cade l’obbligo per i paesi membri (inizialmente previsto nella “posizione comune” del consiglio Ue) di negoziare direttamente con le società biotech, informandole della loro eventuale intenzione di vietare gli ogm da loro prodotti. Su questo punto, continuerà a essere la commissione europea a fare da tramite. E comunque se un paese ue vorrà vietare una coltivazione transgenica, potrà farlo in ogni caso, anche se la società produttrice degli ogm si oppone. I divieti nazionali potranno essere motivati con ragioni socio-economiche, di politica agricola, di interesse pubblico, di uso dei suoli, di pianificazione urbana o territoriale, per evitare la contaminazione di altri prodotti (“coesistenza”), o anche per ragioni di politica ambientale; a condizione, tuttavia, in quest’ultimo caso, che le valutazioni addotte non si oppongano, ma siano “distinte e complementari”, rispetto alla valutazione di rischio ambientale, che compete alla sola all’autorità europea di sicurezza alimentare (Efsa).