Camera dei deputati, 24 giugno 2013
Presidente,
Colleghe e colleghi,
Io credo sia una scelta giusta e opportuna quella di dedicare l’attenzione della nostra Aula a una discussione e, auspicabilmente, all’approvazione di mozioni che hanno al centro l’impegno del Governo sulla difesa del suolo, sulla prevenzione di nuovi rischi e dissesto.
Una discussione fortemente voluta dal Pd, cercata anche nella precedente legislatura.
Altri colleghi hanno già presentato l’insieme degli impegni. Impegni chiari, che toccano i temi della pianificazione, del quadro non sufficientemente chiaro della filiera delle competenze in materia, della necessità di attivare politiche capaci di gestire le conseguenze dei mutamenti climatici, che chiedono il definitivo abbandono di fatiche sciagurate, come il condono, il consumo scellerato di suolo agricolo, la cementificazione.
Molti di noi, ministri ed ex ministri, amministratori, hanno in più occasioni sottolineato come la difesa del suolo possa rappresentare la più grande e utile opera pubblica del nostro Paese.
Molte, direi troppe volte, quest’Aula ha dedicato attenzione ai danni tragici, alla distruzione e, purtroppo, alle vittime di eventi pesantissimi, conseguenza del dissesto idrogeologico, di un territorio costretto, mutato, violentato dalla cementificazione selvaggia, che ha costretto nell’innaturalità corsi d’acqua, colline, casse di espansione.
Abbiamo cercato i responsabili, pianto le vittime, polemizzato per mesi, investito risorse mai sufficienti per riparare i danni. E questo verbo “riparare” purtroppo mai lo abbiamo usato nel senso che Alex Langer ci ha insegnato. Il Sud, il Veneto, la Liguria, la Toscana. Frane, Alluvioni, citta, Case, Strade, Imprese, colture. Purtroppo ancora troppo poco è cambiato.
Desidero, nel mio intervento, soffermarmi su una parte di norma che viene esaminata solo a margine, e mi riferisco all’agricoltura. Agricoltura che nella nostra mozione viene, invece, inserita con un esplicito richiamo alla sua straordinaria funzione di “cura e presidio del territorio”. Una funzione di cui non possiamo ricordarci solo sporadicamente. Un inserimento teso a evidenziarne l’assoluta trasversalità con le politiche ambientali, con la programmazione urbanistica, con le cause e, drammaticamente, con gli effetti dei mutamenti climatici.
Quante volte sentiamo i commentatori citare, davanti ad una frana o a un’alluvione, l’abbandono delle colture? Magari in alta montagna, magari in aree marginali, magari in periferie trasformate da insediamenti industriali. I muretti a secco e i terrazzamenti che non ci sono più, i canali, i fossetti non più manutenuti, monocolture estensive che hanno sostituito la rotazione, siepi scomparse, quelle siepi che fungevano alla molteplice funzione di confine, di rifugio per la piccola fauna selvatica, di trattenimento del suolo. E ancora, coltivazioni industrializzate che hanno utilizzato acqua di falda fino alla sua salinizzazione.
L’agricoltura ha una funzione centrale nel corretto uso del suolo e dell’ambiente. Può, con pratiche sbagliate contribuire al dissesto, al mutamento climatico, all’emissione di Co2, al consumo dissennato di acqua. È il primo comparto a subire le conseguenze poiché è l’unico settore la cui produttività dipende in modo diretto da condizioni meteorologiche incontrollabili estreme (la nostra agricoltura può raccontarvi le conseguenze e i costi dell’estate siccitosa del 2012 e di questo autunno piovosissimo).
L’agricoltura è uno dei settori che può contribuire ad accrescere la resilienza ai mutamenti climatici in atto. Ma per fornire questi contributo l’agricoltura ha prima di tutto bisogno di esistere. Lo dico perché non vorrei che di fronte a numeri che ne descrivono una tenuta migliore dal punto di vista occupazionale rispetto ad altri settori, rimuovessimo le grandi difficoltà che da anni sta vivendo e che hanno un nesso straordinariamente rilevante con i temi di cui stiamo parlando.
Se a livello globale, ma anche europeo, il landgrabbing accelera la sua corsa fondamentalmente per accaparrarsi un ruolo speculare nell’emergenza alimentare mondiale, o per continuare ad operare nel business delle agri energie, nel nostro Paese tra il 1971 e il 2010 la superficie agricola utilizzabile è diminuita del 28% e ogni giorno 100 ettari di suolo agricolo vengono cementificati, il nostro auto approvvigionamento alimentare ammonta all’80-85%. Tutto questo rappresenta un paradosso nel Paese che ha ottenuto l’assegnazione di Expo 2015 grazie alla scelta di un tema di straordinaria attualità e rilevanza con “nutrire il pianeta” di fronte a una crescita esponenziale della popolazione mondiale.
Questa funzione straordinaria dell’agricoltura, questo compito di presidio e cura di un bene comune, quale la terra, il suolo è oggi messa pesantemente in discussione: da un lato da forme di abbandono della terra, e dall’altro per la cementificazione di terreno agricolo.
Si abbandonano soprattutto le aree marginali, più difficilmente raggiungibili, in cui in questo civilissimo e straordinario Paese che è’ l’Italia, chiudono scuole, sportelli bancari, uffici postali, vengono tagliati trasporti, servizi sociali e sanitari per ragioni di Spending Review, rendendo difficile continuare a vivere normalmente. Si abbandonano perché in quelle aree, dove difficilmente c’è la fibra ottica, è raro che giovani uomini e donne decidano di rilevare attività agricole che non danno un reddito dignitoso.
Sulla cementificazione per fortuna c’è da qualche tempo una nuova attenzione, numerose iniziative legislative parlamentari e di governo. Ma il dato è impressionante: negli ultimi 40 anni, secondo i dati del Mipaf, sono andati perduti circa 5 milioni di ettari, una cifra spaventosa che va tradotta in superficie non coltivata, in terrazzamenti abbandonati, di cui ci accorgiamo dopo il disastro o quando nei mercati facciamo fatica a trovare prodotti italiani.
È una rotta pericolosissima quella che abbiamo intrapreso e che va assolutamente invertita. Tale inversione è possibile. È possibile se operiamo un mutamento culturale ridando al cibo e all’agricoltura la centralità e il valore economico che meritano. Centralità all’agricoltura, al cibo e agli agricoltori che, vale la pena di ricordarlo, gestiscono la gran parte del nostro territorio.
E’ possibile se prendiamo sul serio le indicazioni chiare contenute nella programmazione che da alcuni anni esistono e che anche la Pac e i piani di sviluppo rurale oramai indicano con chiarezza. È possibile se aggiorniamo il nostro quadro normativo sul suolo agricolo, contrastando il consumo di suolo con determinazione, e incentivando pratiche agricole sostenibili.
Esiste una vasta documentazione sugli effetti dei mutamenti climatici e sulla funzione dell’agricoltura e dell’attività forestale.
Una inversione di tendenza può esserci con un’agricoltura che riduce l’apporto di input esterni, che immagazzina Co2, che utilizza fonti rinnovabili, che accresce e favorisce l’agricoltura biologica, che privilegia la biodiversità e la rotazione alla monocoltura industrializzata, che conserva e riproduce le propria ricchezza sementiera, che privilegia colture a basso consumo idrico, che recupera e conserva la risorsa idrica, che attua politiche di adattamento ai mutamenti climatici e che guarda al futuro modificando le proprie politiche.
Dobbiamo comprendere, e far comprendere meglio, che i temi di cui stiamo parlando hanno un effetto sulla vita delle persone che può essere molto più vicino di quanto si può pensare. Mi riferisco alla tutela del suolo agricolo, mi riferisco al tema dell’approvvigionamento alimentare, alla sicurezza alimentare e alla sovranità alimentare.
Siamo in una fase cruciale e conclusiva per la nuova programmazione Pac, certamente l’Europa ha compiuto una scelta strategica importante scegliendo con forza l’indicazione di un uso sostenibile del suolo e delle sue funzioni; sono state previste una serie di misure “verdi” che subordinano i finanziamenti agli agricoltori al rispetto di precise norme e alla conservazione degli ecosistemi, ma sono ancora grandi le riserve sulla fruibilità e sulla semplificazione delle misure. Non è questo il momento di affrontare nel dettaglio il tema, ma e’ importante che un Governo che vuole caratterizzarsi per il fare, per una riconversione green del suo modello di sviluppo, che vuole attivare politiche di governo del suolo efficaci che consegnino alla storia non felice la pratica dei condoni e del consumo di suolo, evidenzi il peso e la centralità dell’agricoltura italiana.
Non c’è una contraddizione tra il bisogno di maggiore competitività e modernizzazione del comparto agricolo e la sua capacità di adottare pratiche sostenibili, è l’esatto contrario. Vivo in terra di Siena. La Valdorcia che tutto il Paese ama, che è divenuta patrimonio Unesco per il suo paesaggio rurale, è spesso stata conosciuta per l’uso che ne hanno fatto spot pubblicitari. Spot che hanno ben compreso il valore di quel paesaggio, di quelle stradine tortuose, bianche, adornate da cipressi ai lati, decorate con gialle rotoballe dopo la mietitura.. Quel paesaggio ha un valore aggiunto che bisogna essere capaci di far tornare all’agricoltura, altrimenti scomparirà, e con lui quella funzione di presidio e di cura capace di evitare disastri che non vogliamo più vedere.
Grazie
3 thoughts on “Intervento in Aula su difesa del suolo”
Comments are closed.