#KeepCalm…facciamo il punto, e non nascondiamo la testa nella sabbia

Mi sarebbe piaciuto concentrare questo editoriale sul voto regionale, ma non si può non collocare ogni possibile riflessione senza fare i conti con il contesto dell’attualità in cui ci troviamo. È’ infatti difficile dare una priorità alle tante emergenze che stiamo vivendo.

Hanno il volto drammatico dell’immigrazione che non ha più solo rappresentazione nei barconi disperati che giungono sulle nostre coste, ma abita le stazioni delle grandi città, gli scogli e i giardini nei pressi del confine di Ventimiglia, ed è costretta all’ascolto di nuove resistenze dei Paesi confinanti, dei partner europei, di chi ipotizza la costruzione di nuovi muri, e che trova parole di umanità nelle parole del Pontefice, ma non in quelle dei capi di Stato, trova umanità nei gesti di solidarietà di tanti italiani che si sono rimboccati le maniche per aiutare, organizzare, procurare cibo, pulire, ma non nella voce di chi ci ha speculato anche elettoralmente.

Hanno il timer della vicenda Greca che sembra oramai prossima all’ingresso nello scenario peggiore: quello dell’uscita dall’UE, con tutte le conseguenze drammatiche per i cittadini, l’economia, il welfare di quel Paese, e con quelle imponderabili, per stessa ammissione di Draghi, per l’Europa.

Hanno il sapore di una corruzione e di un malaffare che sembra non trovar fine nella Capitale, ben oltre ogni possibile immaginazione nei livelli di infiltrazione nel sistema politico e istituzionale.

Mi fermo qui, ma mi sentirei di aggiungere ai temi che molto mi hanno fatto interrogare in questi giorni, quella che alcuni osservatori hanno definito “democrazia disabitata”, indicando la scelta di oltre la metà degli italiani di disertare il voto regionale e amministrativo. Un calo impressionante che riguarda anche casa nostra, la Toscana e Siena, che mi rifiuto di considerare “fisiologico” e che mi consola constatare essere un po’ sopra la media dei dati peggiori.

Come si affrontano le emergenze? Come si danno risposte? Come si portano avanti le riforme con pieno mandato, se il numero degli italiani che si esprime e che quindi affida e consegna agli amministratori il suo pensiero  continua a precipitare?

Certo non è semplice invertire la rotta quando l’Europa lascia solo il nostro Paese di fronte all’emergenza immigrazione e i singoli capi di stato, a partire da quelli che come noi aderisco al PSE, ti girano le spalle come i peggiori conservatori. Così come non è affatto facile far tornare le persone a votare di fronte alla vicenda di Mafia Capitale che non risparmia nessuna forza politica, che si abbevera dalle risorse pubbliche destinate a gestire l’accoglienza dei disperati. Difficile contrastare questa nuova onda dell’antipolitica e della disaffezione se non con una reazione etico morale molto molto forte.

Quella reazione dobbiamo metterla in campo.

Il voto Regionale e il voto in alcuni grandi Comuni, si è svolto in questa cornice.

In Toscana Enrico Rossi è stato confermato Presidente con un ottimo risultato. Il Pd riconquista la Campania, conferma la vittoria nella Marche, in Puglia e in Umbria (anche se per un soffio).

Bruciano pesantemente il risultato della Liguria e del Veneto, regione nella quale il Pd fa un pessimo risultato nonostante le spaccature in seno alla Lega e al centrodestra con le due candidature di Zaia e di Tosi. Bruciano tantissimo i ballottaggi che hanno consegnato al centrodestra Venezia, Arezzo e altre città. La destra dove si riorganizza può tornare a far il suo mestiere e anche a vincere, e in qualche caso anche alcuni elettori che l’avevano abbandonata, tornano all’ovile.

In Toscana i candidati ufficiali del Pd perdono tutti e tre i ballottaggi.

Se il dato dell’astensione era nell’aria ed era avvertito da tutti coloro che hanno fatto la campagna elettorale, distribuito volantini nei mercati, ascoltato le proteste di una parte del mondo della scuola, alcune sconfitte nei ballottaggi sono state una vera sberla.

Adesso dobbiamo farci i conti sul serio.

Le analisi del voto non si fanno in modo affrettato ne con gli slogan cotti e riscaldati, ma già alcune prime interpretazioni di chi studia flussi, ci consegnano materiale di riflessioni. Sappiamo che ci sono insiemi di ragioni che vanno dal peso dei candidati alle divisioni interne al nostro stesso Partito e confesso che, pur non condividendo i toni usati contro di lei, la scelta di Rosy Bindi di render noto quell’elenco in quel tempo, non mi è piaciuta affatto.

Sono tra coloro che ha sempre pensato che si vince e si perde assieme, prendendo sempre tutti in carica una porzione di responsabilità e mi hanno fatto molto arrabbiare quelli che un anno fa hanno teso a dividere e a costruire caricature di quelli del 25% e di quelli del 40,8 (sarà che sono abituata a impegnarmi in tutte le campagne elettorali) e per questo ritengo che il voto al nostro Partito è stato un voto importante ma non soddisfacente, che ci chiede di aprire una discussione seria, vera e di porre al centro il tema del Partito e del nostro radicamento e di lavorare per recuperare la fiducia dei tanti che in un anno ci hanno abbandonato (in Toscana circa 500.000).

Ho sempre riconosciuto a Matteo Renzi, dal giorno successivo alla sua vittoria, una innegabile marcia in più, una forza riformatrice e di cambiamento straordinaria, pur non condividendo alcune sue analisi. Riconosco la sua leadership, la sua potenza comunicativa e relazionale, ma non credo che il tema oggi sia scegliere il numero da mettere accanto al suo nome (Renzi1 o Renzi2).

Un Paese non si cambia, non si governa con un sol uomo, anche se forte come lui. Serve un partito, serve una comunità coesa, una comunità che non deve né asfaltare né pianare le idee diverse, ma che deve semplicemente …convincere.

Si convince se si mette in campo un modello culturale, se si innova, ma anche se si ascolta, se si coinvolge, se si comprende che “rappresentare” è tema complesso, che l’interlocuzione con la società nella sua articolazione non è esauribile nella funzione di governo, che i corpi sociali vanno sfidati sulla loro capacità di innovarsi, ma va loro riconosciuta una funzione. Le riforme non devono rallentare, ma occorre che portiamo con noi il Paese, i cittadini, e forse, anche con qualche correzione, quelle riforme saranno sentite di più patrimonio comune e condiviso.

Sì alle riforme, ma dobbiamo sapere e saper dire chi siamo e come ci collochiamo su tante sfide economiche e civili.

Costruiamola quella comunità, ragioniamo su un moderno strumento/partito, ripartiamo con un popolo che non cerchiamo solo per le scadenze elettorali e per far da corte ai candidati di turno, valori in cui riconoscersi e riforme possono stare assieme. Io penso che dobbiamo lavorare senza confusione su questo se vogliamo recuperare fiducia e vicinanza.

Susanna

Lascia un commento