La battaglia del Pd per una legge migliore contro la violenza sessuale

L’inasprimento delle pene è uno dei requisiti che si richiede alla nuova legge. Per affrontare efficacemente la questione, però, serve ben altro.

Gli emendamenti del Partito democratico al disegno di legge che raccoglie in un testo unico le proposte dei diversi gruppi parlamentari sulla violenza sessuale, da mercoledì alla discussione dell’Aula,  riguardano soprattutto l’individuazione di strumenti rivolti alla prevenzione e alla formazione degli operatori del settore.

Il nostro Paese ha accumulato un ritardo enorme nella costruzione di una cultura del rispetto fra i generi: la violenza è diventata un reato contro la persona solo dal 1996.

Per questo serve un impegno maggiore del Parlamento per sostenere e incentivare la costituzione di reti anti violenza su basi territoriale; per coordinare gli strumenti della programmazione nazionale con quella regionale; per la formazione del personale sanitario, delle forze dell’ordine, dei centri antiviolenza e degli uffici scolastici.

Questo in sintesi è quanto chiediamo negli emendamenti e nell’ordine del giorno per il sostegno alle rete dei soggetti che opera nel settore, che presenterò martedì in Aula: recuperare la complessità del fenomeno, senza limitarci all’applicazione del codice penale.

Riuscire a farlo significa assumerci una grande responsabilità, significa poter dire ad ogni donna che subisce violenza: non sei sola, la violenza che hai subito è un problema di tutti noi, della nostra società.

Nella scorsa legislatura era stato avviato un importante lavoro, che interveniva sulle pene e avviava, al tempo stesso, un coinvolgimento di tutti i soggetti, impegnati sul campo. In quella proposta si agiva fortemente sulla prevenzione, sulla costruzione di progetti di sicurezza delle città, sulla loro vivibilità, sulla formazione degli operatori, sull’accoglienza e l’assistenza alle vittime, sull’educazione, sin dalla scuola, dei bambini e delle bambine al rispetto reciproco.

Con questa impostazione e con un lavoro capillare nelle città e nelle realtà territoriali, in attesa di un passo avanti nella legislazione e nell’azione del governo, in questi anni sono state varate molte leggi regionali. Le voglio ricordare tutte: Basilicata, Calabria, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Sardegna e Toscana. Sono stati varati protocolli quadro per una strategia di supporto alle reti antiviolenza tra Ministero e Regioni.

Il governo ha scelto di ignorare tutto questo pensando di affrontare il tema con la mera logica della repressione, che è poi la stessa che ha portato al varo delle ronde. Questo esecutivo lo ha fatto sin dall’inizio della legislatura, quando ha tagliato tutte le risorse stanziate per i progetti delle città e la formazione degli operatori (30 milioni di euro) per il decreto Ici.

Per l’ennesima volta, rischiamo di ritrovarci con una legge che gonfia i muscoli ma senza fondi per prevenire il fenomeno della violenza e affrontarlo nella maniera più adeguata.

Susanna Cenni

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