La crisi e il lavoro delle donne ai tempi del Governo Berlusconi

Quando le crisi sono di enorme portata, si investe sui contenuti e sugli elementi di svolta e di rilancio. Lo sta facendo il neo Presidente Obama, ma non è quello che sta accadendo nel nostro Paese. Essere donna ai tempi del governo Berlusconi significa trovarsi di fronte alla crisi economica con difficoltà in più.

Sappiano che le donne vivono una condizione, in generale, più complessa, con il lavoro sempre più precario; una scarsa possibilità di fare carriera, uno stipendio più basso dei colleghi maschi a parità di livello lavorativo. L’unica cosa che sembra aumentare è il lavoro in ambito familiare, l’impegno per assistere gli anziani e crescere i bambini. Le ricerche più recenti ci dicono che soprattutto in Italia le donne rischiano più degli uomini il licenziamento, sono più soggette alla cassa integrazione e alla mobilità.

Si tratta di una tendenza poco lungimirante, oltre che pericolosa, perché le donne potrebbero essere una delle vere risorse per il rilancio sociale ed economico del Paese. Molti indicatori di carattere europeo e mondiale  ci dicono che l’aumento del lavoro femminile coincide con l’aumento del PIL; come del resto confermano le esperienze di altri Paesi. Le società nelle quali lavorano più donne sono più sviluppate; più occupazione femminile significa  anche maggiore serenità nelle famiglie, che vedono allontanarsi il rischio povertà. Non è più vero che “più le donne stanno a casa e più figli fanno”, ma l’esatto contrario. Con l’aumento delle donne lavoratrici, infatti, aumentano le nascite e si hanno  maggiori investimenti in servizi perché crescono domanda e bisogno. Del resto il livello di scolarizzazione e di conoscenza delle donne è cresciuto. Il sorpasso nei confronti dei maschi è già avvenuto rispetto al rendimento scolastico, laureandosi in maggior numero, e iscrivendosi sempre più frequentemente in Facoltà di solito caratterizzate da una stragrande maggioranza di uomini, come ingegneria per esempio. Si è già compiuta quella che è stata chiamata una “trasformazione silenziosa” del loro essere e del loro ruolo.

Nonostante tutto l’Italia, afferma uno studio dell’OCSE, per il lavoro femminile, con il 46 cento di donne impiegate, siamo 11 punti sotto la media europea con differenze rilevanti tra il sud, il centro e il nord. Al Sud siamo al 31per cento, molto al di sotto dell’obiettivo del 60 per cento entro il 2010 stabilito dall’Agenda di Lisbona. Nonostante questo il governo sembra del tutto incapace di intercettare questo bisogno e questo diritto delle donne di avere pari opportunità in ambito lavorativo. Una miopia che si è tradotta in dieci mesi di inattività. Il governo, però, non si è solo limitato a fare niente per favorire l’occupazione femminile, ma ha anche fatto registrare un sostanziale arretramento rispetto a quanto fatto in passato dal centrosinistra.
Tra gli interventi più interventi del governo Berlusconi possiamo segnalare: la cancellazione della legge 188 del 2007 per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco (che riguarda soprattutto donne e giovani); maggiore precarizzazione del lavoro; nessun incentivo fiscale; niente sull’imprenditoria femminile; nessun provvedimento sulla conciliazione; penalizzazione del lavoro femminile con la detassazione degli straordinari (di cui è facile prevedere che si avvantaggeranno soprattutto gli uomini), aumento delle difficoltà di ritorno al tempo pieno dai contratti a part time.

Insomma in poche parole il problema della promozione dell’occupazione femminile per la destra non esiste, anzi ci pare proprio che la visione che emerge dalle scelte assunte sino ad oggi sia tesa a far pagare a caro prezzo la crisi alle Italiane, spingendole ancora una volta ai margini del mercato del lavoro.
Noi la pensiamo molto diversamente. Come Partito democratico siamo impegnati a dare forza a quel processo che è stato ribattezzato womenomics, l’economia delle donne, per indicare quel circolo virtuoso in grado di far crescere il PIL di una società rafforzandone le sue strutture sociali fondamentali. Abbiamo presentato in proposito una proposta di legge sia alla Camera che al Senato.

Pensiamo di agire su più fronti: parità nell’accesso al mercato ed eguale trattamento economico; ed un welfare moderno che consenta alla donna di conciliare maternità, lavoro e carriera, e alla coppia di arrivare a condividere il lavoro di cura per evitare la moltiplicazione del carico familiare solo sulle spalle delle donne. Ed ancora, vantaggi fiscali per le imprese che assumano donne, a partire dalle aree svantaggiate; la riqualificazione e il rifinanziamento del Fondo nazionale per l’imprenditoria femminile; l’estensione e il potenziamento dei congedi parentali e la possibilità di part-time col versamento dei contributi figurativi a carico dello Stato; C’è da lavorare anceh sul versante dell’evoluzione culturale nella relazione tra uomini e donne e nella distribuzione del lavoro di cura, pertanto si prevede nella proposta anche un congedo obbligatorio per i padri, detrazioni fiscali delle spese sostenute dalle famiglia per l’assistenza ai bambini e agli anziani, lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi. Serve un impegno duro in Parlamento, ma serve anche uno svolta culturale che rafforzi l’idea di uguaglianza di genere e sappia cogliere il contributo delle donne per l’evoluzione del nostro Paese in senso Europeo abbandonando il triste destino di fanalino di coda in ogni analisi del Gende Gap.
A tal fine voglio ricordare i passi avanti compiuti invece dalla nostra Regione con due provvedimenti recenti: il Patto per l’occupazione femminile e la proposta di legge sulla cittadinanza di genere.

Per approfondire:

Il Patto per l’occupazione femminile della Regione Toscana

Proposta di legge sulla cittadinanza di genere

One thought on “La crisi e il lavoro delle donne ai tempi del Governo Berlusconi

  1. Cara Susanna,
    ciò che hai scritto – ed ho apprezzato come tu continui a leggere ciò che accade e a formulare proposte politiche di valenza generale che partono da uno sguardo tutto al femminile – è condivisibile sotto i punti di vista.
    Desidero solo sottolineare ciò che dici nel pensiero di chiusura e cioè: “….. ma serve anche una svolta culturale che rafforzi l’idea di uguaglianza di genere e sappia cogliere il contributo delle donne per l’evoluzione del nostro Paese in senso Europeo abbandonando il triste destino di fanalino di coda in ogni analisi del Gende Gap.”
    Ebbene, per questa svolta culturale sento la necessità di arrivare a momenti pubblici forti e visibili per rimettere al centro la questione della convienza pacifica tra i due generi, maschile e femminile, a partire proprio dal diritto al lavoro per le donne (womenomics), dal diritto ad un lavoro qualificato per tutti, nonchè alla redistribuzione tra i generi del carico dei lavori di cura e domestici, con contestuale implementazione dei servizi di supporto.
    Mi piacerebbe che nascessero momenti di incontro pubblici (magari organizzati dal Partito Democratico!!!), aperti alla gente comune, nei quali uomini e donne, che vogliono mettersi in gioco anche a prescindere dalla notorietà, discutessero dei temi che hai posto in questa tua analisi e riflessione propositiva ad ampio spettro. Uomini e donne che prendono la parola e non si rinchiudono nelle mura domestiche ad ascoltare il dibattito televisivo a volte estenuante ed incomprensibile, per non dire trash. A promuovere queste iniziative potrebbero essere le tante donne che vivono oggi questa difficile situazione e che continuano ad esserci, dentro o fuori dal P.D.
    Sono anche consapevole che questo significa fatica e impegno ulteriore..
    Penso alla possibilità di creare un po’ di movimento a supporto dell’azione parlamentare tua e di quella di altre donne (sempre troppo poche) impegnate nelle Istituzioni locali.
    Ricostruire una rete di donne che insieme, a partire dal proprio sguardo, voglia coinvolgere e far uscire dal tunnel l’universo maschile e’ forse l’unica strada che in questo momento mi viene in mente per sentirci meno invisibili…
    Un abbraccio, Antonia Banfi

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