Il dibattito sugli Ogm di queste ultime settimane si è ridotto, molto spesso, ad una sorta di “ordalia” sull’opportunità del loro impiego: “Ogm sì” da un lato, “Ogm no” dall’altro; soluzione del problema della fame nel mondo per alcuni, rischio salute per colpa dei cibi Frankenstein per altri. La sentenza del Consiglio di Stato del 19 gennaio scorso, con l’autorizzazione comunitaria alla patata Amflora, ha di fatto condotto su questi toni la discussione. Il rischio è di nascondere molti aspetti più complessi della questione a partire, per esempio, dai veri pericoli che corriamo legati alla perdita di un prezioso patrimonio costituito da biodiversità, ricchezze di conoscenze, tradizioni e qualità che da decenni contadini e imprenditori agricoli tutelano, rappresentano e custodiscono per la nostra alimentazione ed il paesaggio rurale.
Sono convinta, dopo anni di impegno sul fronte locale sui temi dell’agricoltura, che al nostro Paese e all’Europa non conviene correre questo rischio ed aprire un varco pericoloso alle coltivazioni OGM. Sapete che alla fine del secolo scorso in Italia esistevano oltre 400 varietà di frumento, mentre nel 1996 solo 8 varietà di frumento duro costituivano l’80 per cento del seme? Ed ancora, non il WWF, ma la Commissione Europea ci dice che un mammifero su sei è a rischio estinzione per la perdita dell’habitat. Oggi forse ci sembra normale, se non trendy gustare cinta senese, sentire il profumo delle piccolissime e verdi mele “francesca”, o mangiare farro. Probabilmente è un po’ meno noto che ciò è possibile perché qualcuno con pazienza ha deciso di tornare ad allevare, coltivare, queste razze e varietà restituendo loro un valore di mercato. Consiglio a tutti occhi e naso attenti anche semplicemente visitando il territorio toscano, ma vale per buona parte del nostro Paese.
Per queste ed altre ragioni ho lavorato da un anno e mezzo a questa parte assieme a competenze tecniche, scientifiche, economiche, prevalentemente toscane, assieme ad appassionati ed esperti a quella che, qualche settimana fa, è diventata la Proposta di legge numero 2744 “disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità agraria ed alimentare”. Una proposta di legge che, in un solo giorno, ha raccolto numerose adesioni dei colleghi della camera, non solo tra le file del Partito democratico, ma anche tra i banchi della maggioranza e delle altre forze politiche.
Non so quali possibilità avrà di giungere in aula in questa legislatura dove la maggioranza è più attenta ad altro che al cibo e al futuro della nostra alimentazione, ma so che le iniziative come questa possono far discutere e indurre modificazioni, sperimentazioni. Proprio questi temi sono stati al centro del congresso Toscano di Slowfood, svoltosi il 14 marzo scorso a Siena. Nelle scorse settimane, inoltre, le componenti di quella coalizione anti – Ogm hanno ricominciato a confrontarsi, e la presenza di pochi politici (Alemanno, Pecoraro Scanio e la sottoscritta) ci dice che c’è un Paese che non è disposto ad accettare tutto ed è pronto a dare battaglia.
Tutela della biodiversità agraria da rischi di contaminazione ed erosione genetica con una anagrafe nazionale della biodiversità vegetale ed animale; creazione di una rete nazionale degli agricoltori ed allevatori custodi; stanziamento di un fondo nazionale per la tutela dal rischio di inquinamento genetico (chi inquina paga); libera circolazione di semi all’interno della rete dei coltivatori custodi in tutto il territorio nazionale; istituzione degli itinerari della biodiversità; veicolo di sostegno attraverso la conoscenza, i viaggi, ed il turismo nei “luoghi” in cui la fatica e la cura degli agricoltori ci consente di conoscere la biodiversità, ed ancora la nascita delle comunità del cibo e della biodiversità agraria ed alimentare (tanto care al pensiero ed all’elaborazione di Slowfood soprattutto con la nascita di Terra Madre), interventi di stimolo e sostegno alla ricerca in questa direzione. Sono questi i punti centrali della proposta di legge, ma soprattutto sono un tentativo nel 2010, anno della biodiversità come proclamato dall’Onu, ma anche nell’epoca dei fallimenti di Fao e G8 su cibo e fame, un contributo, certo piccolo e parziale di raccontare che oltre lo scontro ideologico possono esserci cose concrete con le quali provare a dare risposte ad una strada, quella degli Ogm, che non ci porterebbe molto lontano.
Serve, piuttosto, investire, in una ricerca seria e costante, competente, che sia pubblica e non riserva di poche multinazionali. Una ricerca che mette i suoi risultati a disposizione del mondo agricolo, delle comunità e della nostra salute, a sostegno dello sviluppo locale, del recupero di conoscenze e tecniche sostenibili dal punto di vista ambientale, una ricerca che ci aiuta a vivere ed a cibarci meglio, ad utilizzare meno acqua, a rispettare il suolo, ad immettere meno co2 in atmosfera, qui e nel resto del mondo. Guardate che tutto questo è possibile. Gli agricoltori lo sanno da tempo e forse dovremmo imparare tutti ad ascoltarli meglio.