Buongiorno a tutti, ringrazio per l’invito, che ho molto apprezzato. Ho avuto modo di lavorare anche in altre occasioni con il professor Maracchi, e conosco l’attività interessante dell’Istituto anche in relazione all’agricoltura.
Vorrei cominciare con un riferimento a quello che è stato appena detto a proposito della lana, dei viaggi e dei chilometri che la lana fa per essere lavata, poi filata etc. , purtroppo questo è un fenomeno che continua a rappresentare una delle grandi difficoltà dell’agricoltura italiana: la mancanza di un adeguata organizzazione delle filiere. Siamo sicuramente ancora molto lontani dalla logica del chilometro zero.
Credo che il tema della filiera delle fibre, della multifunzionalità, sia un tema di grandissimo interesse, che avrebbe bisogno di uscire un po’ di più dai circuiti della sperimentazione, dell’approfondimento scientifico e tecnico e di essere preso un pochino più sul serio sul piano normativo. Dico così perché mi è capitato negli anni in cui ho fatto l’Assessore all’agricoltura nella mia regione, ma mi capita tuttora nella mia veste di Deputata, quando si illustrano esperienze e progettualità diffusa si viene accolti, in contesti diciamo esterni a quelli interessati al progetto stesso, con dei sorrisi quasi di sufficienza, come se stessimo parlando un po’ di folklore, mentre l’economia, quella seria, sarebbe altrove.
Io ritengo che invece che non sia così: in certi territori la sperimentazione di micro progetti, accompagnata da un’attenta analisi dei costi e dei risultati, rappresenta la possibilità di avere sviluppo locale e presidio del territorio. Prima il Dr. Raschi si chiedeva quanti sono a conoscenza della presenza di così tanti capi allevati: io si, perché ho passato tante di quelle giornate a fare il prezzo del latte ovino ..assai utili a far maturare una sufficiente consapevolezza. Il punto è che queste presenze, anche dal punto di vista dell’analisi economica, di chi fa allevamento ovino, sono state valutate soltanto con riferimento all’ attività casearia, quindi produzione. e trasformazione del prodotto latte attraverso caseifici.
Però qualcosa si sta muovendo, e guarda caso, ancora una volta, prima di tutto attraverso l’interessamento delle donne. Voglio citare l’esperienza delle donne del consorzio per l’allevamento dell’agnello di Zeri che già da alcuni anni ha avviato la sperimentazione del recupero e la valorizzazione della lana della zerasca con la riscoperta di tessuti e capi di abbigliamento tipici della Lunigiana. Certo, il progetto si è sviluppato con l’aiuto della Regione, con ricerca applicata a quel tipo di esperienza, ma è nato dall’impegno di giovani donne che in un luogo sperduto, alla periferia nord della Toscana, hanno iniziato ad interrogarsi, avendo avuto buoni risultati con la ripresa dell’allevamento e con la vendita della carne di qualità di questo agnello, sul perché non ragionare anche sulla lana che si buttava via e che costituiva un problema di smaltimento.
E’ abbastanza affascinante questo tema del filo, delle reti, del tessuto, che evoca moltissimo del dibattito del pensiero femminile. Alle “reti” spesso le donne si richiamano anche perché, in molte realtà, è solo dandosi forza l’un l’altra che riescono ad affrontare le difficoltà che riguardano le piccole imprese e le micro attività diffuse nei territori. Un tema che evoca il rapporto tra l’individualità femminile e la forza collettiva che può produrre risultati importanti e la possibilità di mandare avanti progetti di filiera come quelli di valorizzazione delle fibre vegetali.
Ho avuto la fortuna, ed anche il privilegio, di stare per otto anni nel governo della regione Toscana e ho avuto modo di seguire alcune interessanti esperienze di reti di donne: penso alla rete nata nel settore del turismo fra tante imprenditrici, in particolare donne titolari di attività agrituristiche, che ha dato vita nel 2004 al progetto “Benvenute in Toscana” per una qualificazione dei servizi di accoglienza turistica riservati alle donne che viaggiano da sole; vorrei ricordare le attività svolte dalla “Rete delle donne per la sicurezza alimentare e la salvaguardia della biodiversità”, nata nel 2007 con l’intento di mettere in connessione e valorizzare i talenti delle donne che in tutto il mondo sono impegnate per tutelare la sicurezza alimentare e promuovere un’agricoltura sostenibile. Attraverso la rete sono nati alcuni progetti, ad esempio, per quanto riguarda proprio il settore tessile, fra donne toscane e donne indiane, inoltre con la Rete nazionale delle donne rurali messicane (RENAMUR, Red Nacional de Mujeres Rural) con l’obiettivo di sviluppare una strategia di sviluppo rurale integrato nella prospettiva di genere.
Sicuramente si va avanti su questi progetti, anche perché su queste tematiche già da anni si era cominciato ad indagare nella nostra Regione e credo che la ragione fondamentale stia nelle peculiarità del modello di sviluppo dell’agricoltura toscana.
Già negli anni ’70 la Toscana ha vissuto la crisi dell’industrializzazione dell’agricoltura, cioè quel fenomeno della rivoluzione verde che in buona parte dell’Italia aveva portato ad un aumento della delle produzioni e che ha trovato ovvie difficoltà nel nostro territorio collinare, dove non ci sono aree vaste da destinare a colture intensive. Con anticipo, quindi, Istituzioni e Imprese toscane hanno cominciato a ragionare su un modello diverso: sulla possibilità di investire su una competitività che stava assieme alla qualità delle produzioni, alla diversificazione, alla multifunzionalità. Si è investito prima che altrove sulla biodiversità e su politiche tese a sostenere lo sviluppo locale e quindi anche i micro progetti fortemente legati alle vocazioni dei singoli territori, ed in questa cornice tantissime donne hanno trovato l’opportunità di mettere in piedi progetti di attività particolare.
Queste scelte, che sono scelte imprenditoriali ma anche di governo, hanno portato all’approfondimento di una dimensione di relazioni in funzione dell’export e al sostegno di politiche di rete di carattere internazionale: penso al tema del cibo e della sovranità alimentare, alle politiche di qualità e di valorizzazione, penso alla scelta di non fare produzioni OGM collegandosi in rete con buona parte dell’Europa e del mondo.
La seconda ragione è sicuramente legata alla forte presenza di donne in agricoltura nella nostra regione, una crescita favorita proprio da questo modello di sviluppo. Abbiamo potuto rilevare, anche attraverso il monitoraggio di attuazione dei Piani di Sviluppo Rurale, quanto questa presenza sia caratterizzata da uno stile particolare, c’è sicuramente una vocazione caratterizzata da un certo stile di imprenditoria.
Solo negli agriturismi registriamo una presenza quasi del 40% di donne titolari di impresa, nel biologico siamo intorno al 32-33%, e più le imprenditrici sono giovani, più caratterizzano la loro scelta per dimensioni di impresa, e per elevato titolo di studio. Se in Italia, in tutte le nostre regioni, abbiamo una percentuale più alta di donne laureate rispetto ai coetanei maschi, in agricoltura questo dato è impressionante: le titolari di impresa sotto una certa età sono percentualmente molto più qualificate dei loro colleghi della stessa età.
Se andiamo ad analizzare le motivazioni della scelta delle donne di fare impresa agricola, vediamo che un 25% di donne dichiara di farlo per il reddito, un 18% per continuare un’attività familiare ereditata o di ausilio al marito, e ben un 40% per scelta di vita, un dato che spiega molto della presenza delle donne nei progetti di alta qualità.
Mi sono voluta soffermare su questi dati ed evidenziare le caratteristiche dell’impresa femminile in agricoltura perché credo ci sia un nesso molto forte con la possibilità di sviluppare alcune progettazioni come quelle che ci sono state illustrate. Bisogna crederci fortemente per andare avanti su questi progetti, se la ragione fosse solo quella del reddito, di un certo tipo di reddito, consapevoli dell’andamento dei reffidi in agricoltura, credo davvero che faremmo filosofia e non riusciremmo a dare adeguata forza a questo tipo di progettualità diffusa che può anche dar reddito, ma soltanto quando riusciamo a costruire reti e filiere forti in grado di sostenere tutta questa logica. Certo sono fondamentali anche gli strumenti di aiuto e le normative per andare in questa direzione.
In attuazione degli obiettivi del PRS per il sostegno alle pari opportunità abbiamo fatto scelte precise, come quella dell’introduzione dei parametri di genere in tutti i bandi che attribuiscono contributi e quindi anche nei bandi di attuazione delle misure del Piano di Sviluppo rurale 2007-2013 dove si riconoscono punteggi di priorità, non solo alle donne imprenditrici, ma anche alle imprese che offrono servizi di conciliazione e flessibilità nell’organizzazione del lavoro. Nella legge regionale sull’imprenditoria agricola professionale, abbiamo previsto in favore delle donne, nella maturazione del tempo per il riconoscimento della professione, anche quel tempo che è stato dedicato alla cura e all’assistenza di anziani e di figli, l’ultimo provvedimento varato dalla Toscana è stato infine l’approvazione della recente legge regionale sulla cittadinanza di genere ( L.R. 2 aprile 2009 n.16).
Fra le esperienze più interessanti, dal punto di vista della interconnessione tra produzione agricola, recupero delle fibre, trasformazione e quindi artigianato, prima richiamavo la Rete delle donne per la biodiversità, nata dalla collaborazione, che dura da anni, della regione Toscana con Vandana Shiva che credo conosciate tutti. La rete, che tiene assieme donne imprenditrici, ricercatrici, giornaliste, donne impegnate nelle istituzioni, mira a sostenere progetti di cooperazione e di sviluppo attraverso il trasferimento dei risultati di ricerche e lo scambio di concrete esperienze ed ha già dato vita ad alcuni primissimi progetti anche con la collaborazione di IBIMET, uno dei quali – quello fra donne toscane e donne indiane che prima ho ricordato – è stato presentato un anno fa a Terra Futura, manifestazione annuale sui temi della sostenibilità che si tiene a Firenze.
Nel Programma di sviluppo rurale si ritrovano misure a sostegno della lana, del lino e della canapa, con progetti di valorizzazione che hanno visto forte il coinvolgimento di reti di donne agricoltrici toscane: penso a Donne in campo (CIA), a Impresa donna di COLDIRETTI, che hanno dato un contributo validissimo per lo sviluppo di questo tipo di progettualità che ha consentito il recupero di conoscenze, di tradizioni territoriali che si andavano perdendo: per esempio la riscoperta di tessuti come la “mezzalana”, stoffa fatta con ordito di canapa e trama in lana e la “bisotta” con ordito in cotone e/o lino e trama in lana, ed ancora, antiche lavorazioni come la tecnica del feltro. Lo stesso è stato fatto con alcuni laboratori per le tinture naturali, penso all’utilizzo della reseda, della robbia, del guado, della ginestra per le colorazioni e così via.
Progetti che molto spesso, come vi dicevo, quando vengono illustrati sono accolti con un pò di sufficienza, io però sono convinta che sia utile insistere e che anche il progetto di cui stamani si parla, e che proseguirà nei prossimi anni, in sinergia fra 4 regioni che quindi hanno anche abbondanza di materiale da mettere a disposizione, siano utili e lo saranno tanto di più in fasi come quella che stiamo vivendo.
Stiamo vivendo una fase difficile, e sarebbe interessante interrogarsi ed approfondire seriamente quanto questa crisi stia modificando gli stili di vita e di consumo. Credo che su questo tema ci siano possibilità interessanti, già in atto, perché oggi il consumatore è molto più attento anche alla qualità ed alla provenienza dei prodotti che acquista.
Credo che avere strumenti di sostegno a produzioni sempre più attente all’impatto ambientale, all’origine, a quanto sta dietro al prodotto finale, sia sicuramente una strada vincente, anche per contribuire al superamento della crisi, che è frutto anche di un certo modello di sviluppo e di alcuni errori e di questo non sono più soltanto le fantasiose donne a parlarne.
Qualche giorno fa mi ha colpito un articolo della giornalista Maria Biancucci sul Sole 24 ore che ragionava proprio sulla provenienza di biancheria di pregio e così come Wendell Berry, contadino poeta del Kentucky, sostiene che mangiare è un atto agricolo, lei sostiene che in fondo lo è anche vestirsi, anche scegliere la biancheria o per il letto o i tessuti dei divani.
I nostri acquisti possono determinare colture o allevamenti, sicuramente questo è vero dentro certe dimensioni perché l’agricoltura non è tutta quella agricoltura che si fa nelle aree montane, residuali, scarsamente abitate etc ma c’è anche altro. Penso che questo tema avrà in futuro un peso sempre più grande, che occorre guardare con attenzione e sostenere adeguatamente, anche con strumenti normativi ad hoc, nuovi contesti e possibili nuove dinamiche economiche.
E’ interessante che siano state le donne a rilevare tutto ciò e che ci sia una forte ostinazione delle donne a lavorare in questa direzione e a tentare di produrre dei risultati.
Ci sono ambiti di lavoro che competono, a livello nazionale, al Governo ed al Parlamento, e che quella logica di sistema che veniva richiamata qui dalla Dr.ssa del Ministero sia una logica che va però ripresa e sviluppata con iniziative concrete, anche legislative, che permettano di disegnare una cornice ed alcune scelte di fondo utili a sostenere sempre di più filiere integrate (produzione, trasformazione e commercializzazione). Se non faremo questo, tutti i nostri ragionamenti si fermeranno alla sperimentazione. Chi ha avuto modo nelle Regioni di seguire questi progetti sa che possono produrre risultati bellissimi, affascinanti ma che rischiano anche di morire nel giro di pochi anni se non viene costruita un adeguato sbocco soprattutto nella commercializzazione e quindi nella possibilità di far vivere autonomamente ed indipendentemente dal sostegno pubblico, queste attività.
La mia esperienza passata e le mie convinzioni mi rendono ovviamente disponibile a lavorare in questa direzione.
Grazie a tutti per l’attenzione.
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