E’ il titolo più gettonato dai diciottenni italiani alla maturità. Quasi ignorati Primo Levi, l’impegno dei giovani in politica, le foibe. Vorrei poterli leggere quei temi di italiano. Mi piacerebbe capire cosa è oggi la felicità per i diciottenni, quali sono i loro desideri, i loro progetti in un Paese che sta sottraendo loro futuro e coraggio, e forse la scommessa possibile di avere una vita migliore dei loro genitori. Vorrei capire se e quanto c’è in loro la rappresentazione di una fuga, una estraneità verso i modelli dominanti o se invece c’è un adeguamento, un’omologazione. Vorrei capire quanta speranza e quanta voglia di investire su loro stessi, sulle loro capacità, sull’apprendimento e quanta rassegnazione alla precarietà, all’arte di arrangiarsi, alla ricerca di scorciatoie.
Che Italia vedono?
Nei primi 5 mesi del 2010, secondo la Guardia di Finanza, nel nostro Paese almeno 22 miliardi di euro sono stati evasi. Al Senato, dove si avvia l’esame della manovra finanziaria, già pesante e sbagliata di per sé, tra i 1200 emendamenti della stessa maggioranza ce n’è uno che introduce nuovamente forme di condono, edilizio e fiscale. Furbi. E del resto… perchè no? Più di una volta lo stesso premier ha sostenuto che quando la pressione fiscale è troppo forte… beh, è giusto evadere. Furbizia, corpi perfetti ed il papi giusto per “fare la velina… o forse la parlamentare”.
E’ questa la strada per “arrivare”, per raggiungere… la felicità, o almeno un buon reddito? Certamente un pezzo di classe dirigente non dà il buon esempio: case da sogno pagate non si sa da chi a ministri, Rolex, bmw, corpi femminili da “usare” sono la nuova moneta della corruzione e degli affari, tra imprenditori spregiudicati ed esponenti di primo piano del centrodestra e molti figli appaiono nelle vicende e trovano strade per il cinema o semplicemente per le vacanze all’estero.
Di cosa avranno scritto i diciottenni italiani? Qualcuno avrà raccontato loro, negli anni, che l’Italia non è tutta qui? Che c’è la maggioranza di questo Paese che paga le tasse, lavora o vorrebbe lavorare onestamente, che paga un affitto o le rate di un mutuo? E’ l’Italia che si arrabatta ogni giorno per occuparsi dei bambini, degli anziani, che ha tante paure, ma che va avanti. E’ l’Italia dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti, degli agricoltori che stringono i denti assieme a quei pochi dipendenti che hanno, aspettando che il mercato riprenda, che la banca sia meno rigida. E’ l’Italia dei lavoratori di Pomigliano che vogliono la fabbrica, ma anche la dignità, la libertà e i diritti. Ed è anche quella che nonostante le grandi difficoltà guarda i mondiali di calcio del Sudafrica pensando che comunque è il loro Paese che gioca e c’è ancora voglia di sventolare il tricolore.
“Chi ha di più deve dare di più”. Si può riassumere così l’intervento di Pierluigi Bersani, sabato scorso al Palalottomatica, sulla manovra economica. Una manovra ingiusta, che colpisce la ripresa e l’occupazione senza mettere un freno al debito pubblico e che scarica tutto il proprio peso sulle spalle dei più poveri, sul sistema degli enti locali, dei servizi, senza toccare i grandi capitali, i patrimoni milionari, le speculazioni finanziarie. Nei giorni scorsi si sono intensificate le proteste che interessano tutti i comparti e tutte le categorie sociali, altre ce ne saranno nei prossimi giorni: dai magistrati ai sindaci, ai prefetti, ai docenti universitari, ai medici; dallo sciopero generale proclamato dalla Cgil, che ha interessato anche il trasporto pubblico, al blocco degli scrutini da parte dei Cobas della scuola, e via protestando e scioperando.
È una manovra economica che non serve a migliorare gli obiettivi del triennio 2010-2012 e che quindi non ha nulla a che vedere con la crisi greca, ma al contrario è resa necessaria non solo dalla crisi globale, ma da due anni di errori e di scelte demagogiche del governo Berlusconi. Il decimo intervento correttivo sulla finanza pubblica in due anni di governo nasce da uno sforamento di 5 miliardi di euro da parte delle amministrazioni centrali e da un allargamento dell’evasione fiscale di almeno altri 7 miliardi.
Non c’è equità: è fatta di tagli alla cieca ed è priva di riforme strutturali. Non prevede interventi a sostegno del reddito dei disoccupati atipici. Interviene in modo indiscriminato sul pubblico impiego dimezzando il numero dei lavoratori a tempo determinato o con contratti di collaborazione e bloccando il turn over, senza alcun incentivo per il merito. I tagli sulla spesa pubblica non vanno a colpire abbastanza gli sprechi e le inefficienze, mentre invece aggrediscono in modo insostenibile i diritti dei cittadini, dei lavoratori, degli studenti, dei pensionati, delle micro e piccole imprese. In particolare peseranno i tagli ad alcuni capitoli del bilancio dello Stato – fra cui ordine pubblico, sicurezza e infrastrutture – e le brutali riduzioni ai trasferimenti a Regioni, Province e Comuni. E’ una manovra che non crede nell’Italia, nella sua possibilità di reagire e di riprendere a crescere, magari investendo su ambiente, innovazione, ricerca, che mette al centro nuovi presupposti per lo sviluppo.
C’è bisogno di raccontare e di parlare con voce più alta di un’altra possibilità. Lo ha ricordato Bersani: “Vorremmo un altro decreto, ma c’è questo e lo emendiamo”. Vorremmo una tassazione al 20% sulle rendite – con franchigie sociali e l’esclusione dei Bot – perché è inaccettabile che siano tassate meno dei redditi da lavoro. E vorremmo misure a sostegno dei precari e dei disoccupati atipici. Vorremmo l’eliminazione di alcune grandi opere come il ponte sullo stretto di Messina. Vorremmo riprendere il capitolo liberalizzazioni, dal quale possono arrivare 10 miliardi di euro, a costo zero per i cittadini. Vorremmo una revisione della normativa sugli appalti, oggi caratterizzata da troppe deroghe, troppe zone d’ombra dove si annidano clientelismo e corruzione. Vorremmo altro. Vorremmo un filo diretto con quell’Italia maggioritaria che oggi non è rappresentata e forse con quella ricerca di felicità dei diciottenni.
Io credo che ci attendano mesi di dura battaglia, una battaglia non solo contro qusto Governo e contro i furbetti, le cricche, ecc., ma per quella Italia e per quella felicità di cui oggi si è scritto sui banchi di scuola. Non possiamo né aspettare né abbassare i toni. E se nel ritrovare una grande senso di comunità, un’identità che si fa anche nella battaglia per dare un futuro ai nostri diciottenni, ci scappa un ”cari compagni”… beh, perdonatemi ma non mi pare così grave.
Occupiamoci della realtà, della vita dura di tanti Italiani, della possibilità di far tornare a sperare ed a credere che la politica sia uno strumento di emancipazione degli individui e di evoluzione delle società, occupiamoci della ricerca della felicità degli uomini e delle donne, occupiamocene, amici, compagni, democratici e democratiche. E’ tempo di farlo.
Susanna Cenni
gent.ma Onorevole, La disturbo per la questione del Liceo Volta su cui Lei canta vittoria.
Probabilmente bisognerebbe senntire tutte le campane, prima di riempirsi la bocca di trionfalismi che, forse, hanno portato vantaggi a qualcuno e svantaggi ad altri. Non so se Le è stato fatto presente che l’alternativa al “sorteggio” sarebbe stata la costituzione di un’unica classe per la quinta ginnasio, composta da 28 studenti (minimo, perchè non sappiamo quanti sono i ripetenti che si aggiungeranno ai 28). Mi permetta di osservare – come parte in causa ed al contempo lesa, visto che mia figlia è una dei minimo 28 – che Lei e gli altri politici locali che si sono impegnati a favore della soluzione adottata, non siete riusciti a risolvere il problema ma solo a spostarlo dove più vi faceva comodo.