“L’importanza dei distretti per il sistema Italia”

Contributo di Susanna Cenni Vice Presidente Commissione Agricoltura Camera

7 settembre – Loro Ciufenna (Ar)

Intanto desidero ringraziarvi per la giornata di lavoro. Utile. Utile per più ragioni.

Intanto per una ragione di fondo che sbaglieremmo a sottovalutare: il concetto stesso di Distretto Rurale ha un senso se soggetti differenti si ascoltano, si mettono assieme, ed investono su criteri comuni per la programmazione, per la promozione di azioni, per lo sviluppo locale.

Cio significa avere una analisi in comune su un’area, un territorio. Condividere gli aspetti su cui si decide di investire, ai quali riconoscere priorità.

Significa investire in valori, Beni Comuni, terra, acqua, aria, foreste, (penso in modo particolare alle esperienze dei Bio DIstretti).

Ho sentito oggi con competenza e passione parlare di Paesaggio, di turismo lento, di Montagna, di cibo.

Oggi non ne abbiamo parlato, ma potremmo ragionare molto seriamente di strategia per le aree interne, di spopolamento, di servizi che chiudono…

In questi anni ho avuto spesso occasione di discutere di Distretti Rurali. Di quelli mai nati, di quelli nati sulla carta, ma per fortuna anche di quelli nati indipendentemente da leggi e finanziamenti. ma cosa sono prima di tutto i Distretti secondo la normativa in essere?

Intanto credo sia giusto ricordare la genesi del modello distrettuale:

il concetto di Distretti nasce negli anni 90 in relazione agli interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese. Si comincia a parlare di programmazione negoziata, per intercettare e coordinare l’utilizzo di risorse pubbliche e private, ed anche per facilitare processi ed orientamenti nei meandri normativi nazionali, europei. Anche l’agricoltura si avvicina a questa novità, si avviano alcuni patti territoriali, ma si fa fatica a concretizzare i contenuti, spesso fermandosi all’immagine e dedicando troppe energie agli assetti.

Dal punto di vista normativo è nel 2001 con la legge delega in agricoltura (57/2001), che si interviene “individuando i presupposti per l’istituzione dei distretti agroalimentari, rurali ed ittici di qualità ed assicurando la tutela delle risorse naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale”, si giunge quindi ad una definizione giuridica, ancorata anche alla politica agricola comunitaria che individua proprio nel distretto la formula più adatta ad interpretare ed esprimere le molteplici interazioni tra l’agricoltura ed il mondo rurale extragricolo come ricorda il Prof Pacciani, uno degli studiosi che più si è impegnato in materia.

Giunge poi il decreto delegato 228/2001 che definisce ancor meglio il distretto rurale come “sistema produttivo locale caratterizzato da un’entità storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attività agricole ed altre attività locali, nonchè dalla produzione di beni e servizi di particolare specificità coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali”.

Quindi soggetti che possono diventare strumento di progettazione, di sviluppo, di disegno dello sviluppo locale, con l’obiettivo di investire innanzitutto sulla relazione tra agricoltura, ambiente, trasformazione, dimensione sociale, culturale, economica.

Si avviano esperienze e tentativi, alcuni con buoni risultati, altri che restano al palo. Sono molti i soggetti chiamati in causa, a partire dalle Regioni. Intanto i regolamenti sullo sviluppo rurale fanno sempre più riferimento alla necessità di implementare le forme di partenariato, soprattutto nella relazione tra sviluppo rurale e Pac.

Negli anni successivi vengono implementate le norme sui Distretti Produttivi e nel 2007, nel DM apposito che finanzia i primi progetti sperimentali, vengon ammessi anche iniziative delle aziende agricole eagroalimentari, poi evoluti con la rubrica “distretti produttivi e reti di imprese”, ed ancora nel 2009 con l’introduzione dei contratti di rete.

L’evoluzione più recente è per quella avvenuta con la legge di Bilancio 2018 (dicembre 2017) e la definizione di “Distretti del cibo”, che chiarisce, definisce e stabilisce la necessaria flessibilità per consentire alle esperienze sperimentali che si adattano alle peculiarità territoriale di esprimersi al meglio.

La norma infatti sostituisce il DL 228/2001 e stabilisce che “al fine di promuovere lo sviluppo territoriale, la coesione e l’inclusione sociale, favorire l’integrazione di attività caratterizzate da prossimità territoriale, garantire la sicurezza alimentare, diminuire l’impatto ambientale delle produzioni, ridurre lo spreco alimentare e salvaguardare il territorio e il paesaggio rurale attraverso le attività agricole e agroalimentari, sono istituiti i distretti del cibo”, entrano a far parte di questa categoria molti degli sforzi, delle esperienze locali, delle innovazioni normative sperimentate negli anni:

i distretti rurali

i distretti agroalimentari di qualità

i sistemi produttivi caratterizzati da elevata presenza di piccole e medie imprese agricole e agroalimentari

i sistemi produttivi locali caratterizzati da interrelazione con imprese agricole

i sistemi produttivi locali in aree urbane e periurbane caratterizzati dalla presenza di imprese agricole

i sistemi produttivi locali caratterizzati da attività di vendita diretta, commercializzazione, reti economia solidale, gas

i sistemi caratterizzati da attività di allevamento, coltura ecc…con metodo bio

i biodistretti

si stabilisce con chiarezza che sono le Regioni ad individuare i distretti, e viene istituito presso il Mipaf il Registro nazionale dei distretti del Cibo che raccoglie i distretti riconosciuti dalle Regioni.

Sono state stanziate alcune prime risorse per il 2018 e per il 2019, nelle scorse settimane è stata raggiunta l’Intesa con la Conferenza delle Regioni. Le risorse saranno attribuite con bando rivolto a imprese, reti di imprese, organismi produttivi e rappresentanze di distretti.

Vale poi la pena di citare, sempre dal punto di visto normativo due ulteriori norme attinenti:

1) La legge sulla Biodiversità (194/2015):

Art. 13 
Comunita’ del cibo e della biodiversita’ di interesse agricolo e alimentare

1. Al fine di sensibilizzare la popolazione, di sostenere le produzioni agrarie e alimentari, in particolare della Rete nazionale di cui all’articolo 4, nonche’ di promuovere comportamenti atti a tutelare la biodiversita’ di interesse agricolo e alimentare, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, anche con il contributo dei consorzi di tutela e di altri soggetti riconosciuti, possono promuovere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l’istituzione di comunita’ del cibo e della biodiversita’ di interesse agricolo e alimentare. 2. Ai fini della presente legge, sono definiti «comunita’ del cibo e della biodiversita’ di interesse agricolo e alimentare» gli ambiti locali derivanti da accordi tra agricoltori locali, agricoltori e allevatori custodi, gruppi di acquisto solidale, istituti scolastici e universitari, centri di ricerca, associazioni per la tutela della qualita’ della biodiversita’ di interesse agricolo e alimentare, mense scolastiche, ospedali, esercizi di ristorazione, esercizi commerciali, piccole e medie imprese artigiane di trasformazione agraria e alimentare, nonche’ enti pubblici. 3. Gli accordi di cui al comma 2 possono avere come oggetto: a) lo studio, il recupero e la trasmissione di conoscenze sulle risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario locali; b) la realizzazione di forme di filiera corta, di vendita diretta, di scambio e di acquisto di prodotti agricoli e alimentari nell’ambito di circuiti locali; c) lo studio e la diffusione di pratiche proprie dell’agricoltura biologica e di altri sistemi colturali a basso impatto ambientale e volti al risparmio idrico, alla minore emissione di anidride carbonica, alla maggiore fertilita’ dei suoli e al minore utilizzo di imballaggi per la distribuzione e per la vendita dei prodotti; d) lo studio, il recupero e la trasmissione dei saperi tradizionali relativi alle colture agrarie, alla naturale selezione delle sementi per fare fronte ai mutamenti climatici e alla corretta alimentazione; e) la realizzazione di orti didattici, sociali, urbani e collettivi, quali strumenti di valorizzazione delle varieta’ locali, educazione all’ambiente e alle pratiche agricole, aggregazione sociale, riqualificazione delle aree dismesse o degradate e dei terreni agricoli inutilizzati.

2) La legge sull’agricoltura biologica, approvata dalla Camera l’11 dicembre 2018, oggi all’esame del senato, che all’articolo 13 definisce i Distretti Biologici o Biodistretti.

(sistemi produttivi locali a spiccata vocazione agricola in cui siano significativi la coltivazione, l’allevamento, la trasformazione e la preparazione di prodotti Bio,..)

Partecipano al distretto le imprese, gli enti locali, enti di ricerca.

Promuovo lo conversione al Biologico, garantiscono la tutela degli ecosistemi, promuovono la partecipazione di tutti i soggetti economici e sociali, ecc..

Le aziende, le organizzazioni dei produttori che intendono costituire un Biodistretto, danno vita ad un Comitato Promotore che presenta alla Regione di appartenenza la richiesta di riconoscimento. E quindi in automatico finisce nel registro dei Distretti Rurali.

La prima è legge dello Stato, ed io ritengo che valga la pena di introdurre anche le comunità del cibo tra i Distretti del Cibo, la seconda è oggi all’esame del Senato, ma i Biodistretti sono già una realtà in Italia ed in Europa molto interessanti.

Ecco,

Ho ritenuto utile scorrere l’evoluzione normativa per provare a ragionare assieme a voi sull’importanza dei Distretti per il sistema Italia. Io credo che la prima ragione di questo interesse sia proprio legato a questa evoluzione: è difficile incardinare in una definizione sintetica e standardizzata il concetto di Distretto Rurale. Le nostre aree rurali non sono tutte uguali, non sono assimilabili per caratteristiche, per dimensioni, per peculiarità di impresa, per sensibilità ambientale.

La produzione agricola della Pianura Padana non è la Maremma, il Chianti non è l’alta toscana ai confini con la Liguria, il distretto florovivaistico non è la montagna Pratese, le aree interne che combattono con dissesto idrogeologico e spopolamento non sono le ricche aree caratterizzate da importanti imprese della trasformazione agroindustriale.

Io credo sia giusto ed importante dare strumenti e riconoscibilità a quegli sforzi che le imprese innanzitutto, ma spesso con le istituzioni accanto, compiono per mettersi assieme per accrescere la loro capacità competitiva e per diminuire o azzerare l’impatto ambientale, per costruire o migliorare le relazioni di filiera, per accrescere il valore aggiunto di un territorio proprio in relazione alla produzione di varietà vegetali o razze animali, per la tecnica di produzione e di allevamento, per la qualità riconosciuta con Denominazioni, ecc..

Tutto questo, se si lavora seriamente, può avere una ricaduta nelle mille interazioni dell’agricoltura con la progettazione urbanistica dei territori, con la presenza di imprese di trasformazione, con le filiere locali i Gas o con le mense pubbliche, la ristorazione, l’attrattività turistica, e sappiamo che soprattutto nelle aree interne e dove i piccoli comuni vivono ogni giorno le difficoltà legate allo spopolamento, la creazione di un sistema economico locale legato ad una produzione tipica, o alla qualità ambientale e paesaggistica della propria agricoltura può fare la differenza e significare la permanenza o il ritorno di residenti.

La creazione o la stabilizzazione di relazioni di filiera nel territorio (agricoltori, trasformatori, commercianti, ristoratori, cittadini, saperi, scuola, operatori turistici..) , l’attenzione e la maggiore conoscenza da parte dei consumatori verso la qualità ed anche nei confronti dell’identità di un territorio, della sua protezione ambientale legata alle sue produzioni, sono alcune delle conseguenze di un buon lavoro verso la creazione di distretti, cosi come, una migliore capacità di intercettare risorse dai vari strumenti di finanziamento Regionali, Nazionali, ed Europei.

Aggiungo però a questa valenza alcune altre considerazioni.

Io credo che uno dei valori principali dell’attivismo che caratterizza la nascita di queste esperienze sia proprio la nascita dal basso. Imprese, Istituzioni, persone che si mettono assieme, pensano e progettano il territorio, ed in virtù di questo chiedono riconoscimento.

Non devono aver rilevanza gli organismi o i loro vertici (la storia del nostro Paese e ricca di carrozzoni inconcludenti), ma i progetti e la loro aderenza ad un territorio.

Magari non faranno la storia, ma se un piccolo comune come quello di Carmignano fa partire il suo Biodistretto perché si rende conto che la presenza di fitofarmaci nelle acque della piana rischia di annullare gli sforzi dei suoi olivicoltori e crede fermamente che da li, un piccolo comune appena più in alto possa partire una piccola rivoluzione ambientale, sociale ed economica, e giorno dopo giorno, crescono le adesioni delle imprese, delle competenze tecniche e scientifiche, dei genitori che hanno i bimbi a scuola…io credo sia giusto sostenere questa scommessa. E sono tante queste esperienze, spesso nascono da difficoltà, penso alla estensione dei vigneti del prosecco ed ai trattamenti in aree vicine all’abitato, oppure alla scelta di una intera area di convertire la produzione di mele al Bio investendo su una nuova identità territoriale. Nascono dal basso e chiedono riconoscimento.

Noi stiamo vivendo una stagione complicata. Dal punto di vista economico e soprattutto climatico e ambientale.

Le svolte non si generano sempre dall’alto.

Servono strumenti, ma serve soprattutto un cambiamento, ed i cambiamenti sono possibili solo se accendo a norme, leggi ci sarà una grande partecipazione civica, popolare.

Penso che l’esperienza dei Distretti, questo nascere dal basso, da una realtà vera e conosciuta, vissuta, questa modalità di costruzione dei distretti rurali possa aiutarci a costruire un Paese più resiliente ad entrambe queste difficoltà, più reattivo e capace di resistere alle crisi.

In alcuni distretti rurali, la strada e gli sforzi hanno consentito di raggiungere importanti numeri, più qualità, capacità di raggiungere mercati, di promuovere prodotti, territori e identità locali, ma anche nelle realtà che non sono in grado di raggiungere numeri, ciò che si genera, e cioè relazioni umane, economiche e sociali, amore e conoscenza per il e del territorio, preparazione, convinzione, ricerca, qualità di prodotto, qualità ambientale, e molto altro…possono rappresentare gli ingredienti per tante e piccole rivoluzioni e contribuire a rafforzare un Paese e renderlo più forte alle oscillazioni internazionali, più protagonista di una svolta Green cogliendone tutte le opportunità, e forse anche più coeso socialmente.

Grazie