E’ tempo di fioriture, di risveglio, di colori pastello. Ma questa Primavera del 2016 consegna a tutti una pesante inquietudine di fondo. E come potrebbe essere diversamente? Giorni di morte, di sangue, di domande. Tante domande senza le risposte giuste. Giorni di dolore. Bruxelles, poi il Pakistan, gli aggiornamenti farseschi delle indagini sulla morte di Giulio Regeni. Pensi di avere in mente stampate le date di attentati che non dimenticherai, le immagini della reazione popolare, Charlie Ebdo, i capi di Stato che marciano assieme, poi il Bataclan, poi Istanbul, poi altro.e poi ti rendi conto che le date cominciano a essere troppe e fai fatica a ricordarle.
Sono tornata a pensare a quell’11 settembre, alle corse davanti ad un video, gli aerei che attraversavano le Twin Towers, il fumo, la gente color della cenere. Sono stata a Ground Zero, poco meno di un mese dopo, ne ricordo ancora l’odore acre, quell’acciaio accartocciato, i sacchi bianchi nei quali uomini censivano ancora cose, oggetti.
Son tornata li con la mente a quell’11 settembre di 15 anni fa per quell’idea che il tempo sarebbe stato da quel momento in poi scandito da un prima e un dopo. L’idea dell’eccezionalità di quella immagine, di quella forma di violenza terrorista, dell’immolarsi per una causa per noi incomprensibile. Gli Stati Uniti, Bin Laden. Ma è stato l’inizio.
Parigi, Londra, Istanbul, Bruxelles, il Mar Rosso, la Tunisia, le esecuzioni fatte con accuratezza mediatica hollywoodiana, i musei, i ristoranti, un aereo, una manifestazione per la pace, un concerto, un aeroporto, uno stadio, il metrò, la normalità, la quotidianità degli spostamenti per lavoro, studio, le persone nei momenti di riposo, di gioia, di serenità.
E l’età di questi terroristi. Giovani. Per lo più nati in Europa. Dopo il crollo dei muri, dopo che in questa Europa abbiamo salutato la fine dei blocchi, immaginato speranze di pace. Nati qui. In Francia, in Belgio. Europei. Bambini, ragazzi, uomini. Figli. In quei quartieri europei. Mentre noi celebravano quello che pensavamo essere un futuro oramai senza guerra.
Cosa è accaduto, cosa non abbiamo visto, affinché questi giovani uomini non abbiano scelto una vita qualunque, che fosse di studio o di lavoro, abbiano inseguito altri ideali così forti da portarli a progettare di farsi esplodere e di fare più male possibile o a uccidere tante persone normali, colpire la loro libertà, la loro, la nostra normalità, nel nome di un Dio qualunque esso sia? Nel nome di uno stato che non esiste se non in un progetto terrorista?
Cosa non hanno visto i vicini, gli insegnanti, i coetanei. Cosa non ha visto questa Europa così fragile che noi vorremmo così forte in questo momento? Cosa non ha visto il tassista che li ha portati in aeroporto? Cosa è necessario che tutti quanti impariamo a vedere, più di ieri, per fermare tutto questo e anche per fermare quei nuovi nazionalismi e quella follia che ci vorrebbe tutti nuovamente divisi da muri o fili spinati?
Nei giorni scorsi è uscita una bella riflessione di Emanuele Macaluso che racconta come in Italia il terrorismo fu sconfitto non solo grazie allo Stato e alla sua fermezza, ma anche per il radicamento della sinistra e dei sindacati che furono capaci di fermare l’avanzamento delle Br nelle fabbriche ecc..per questo fu ucciso Guido Rossa, un operaio comunista, impegnato in fabbrica, nella Cgil. Oggi quale politica, quale pensiero, quale organizzazione sociale è abbastanza presente, radicata nelle periferie delle capitali europee, nel disagio di alcuni quartieri per capire cosa sta accadendo in tempo o per fermare la formazione di reti di jaidisti pronti al martirio e alla violenza?
Non mi avventuro nell’analisi delle vicende internazionali. Nelle responsabilità occidentali dentro agli equilibri in Medio Oriente, e poi gli armamenti, gli accordi commerciali, gli interessi economici, i conflitti, il sostegno a vecchi e nuovi dittatori. Mi fermo indubbiamente molto in superficie. Ne sono consapevole.
Sento necessario tutto quello di cui oggi si parla: intelligence, controlli, intercettazioni, coordinamento, fermezza, ed è impressionante che ben poco di tutto questo abbia funzionato a Bruxelles. Ma servono anche comunità coese, servono valori condivisi, serve vivere i quartieri, le città, la nostra Europa con meno indifferenza e più capacità di vedere intorno a noi, di capire, di conoscere i nostri vicini, le strade, di parlare, di chiedere, di comunicare con le persone e non solo con questi “arnesi”.
E serve la politica, quella con la P maiuscola, ben altro rispetto agli spettacoli da talk show. Serve tornare a costruire visioni del futuro che aggregano, che mobilitano, che rendono coesi e solidali, dentro ai partiti, dentro alle istituzioni, dentro agli Stati. Quelle visioni che ti fanno sentire protagonista indipendentemente dal ruolo e dalla collocazione che hai perché sono anche le tue.
Mai come oggi abbiamo avuto bisogno di un’ Europa che ci faccia sentire protagonisti e cittadini, mai come oggi abbiamo avuto bisogno di una Sinistra Europea che non sia una sola bandiera da mettere sugli sfondi dei nostri discorsi, ma viva, pulsante e capace di rispondere e guidare un suo popolo. Capace di dire con convinzione: questo terrorismo non passerà.
Susanna