Questione di giorni, forse di ore, ma presto ci sarà il governo “pentaleghista”, l’esecutivo gialloverde, o come preferirete definirlo.
Chi per anni ha fatto degli slogan e delle urla la cifra della propria identità dovrà oggi misurarsi con il suo nuovo posto a tavola, e tradurre le urla in azioni di Governo,
Il volto di tutto ciò, la sintesi dei proclami di Salvini e di Di Maio è rappresentato da un professore semisconosciuto che tutti abbiamo ascoltato con grande attenzione cercando di farci un’idea di ciò che sarà e di come verrà imbandita la tavola del Governo dopo il voto del 4 marzo.
Anche io ho ascoltato con attenzione le parole del Presidente incaricato, il professor Conte, l’avvocato Conte all’uscita dal suo colloquio con il Presidente della Repubblica, davanti a quel microfono che per mesi ha visto scorrere forze politiche, leader, vincitori e vinti, ipotesi accarezzate e poi svanite.
Un percorso anomalo quello che abbiamo seguito. La fase dei veti incrociati tra centrodestra e Movimento 5 Stelle, la fase dei forni e dei toni alti, la fase delle aperture di confronto chiuse prima di cominciare, e poi il protagonismo dei due leader vincenti che in più occasioni nei toni e nei modi hanno infranto rispetto dei ruoli istituzionali e quant’altro, di fatto scegliendo il nome del Premier.
E così il Professor Conte nelle sue parole ha cercato di dare alcuni messaggi al Paese e alle forze politiche che lo hanno voluto.
La cosa che più mi ha colpito, come molti credo, è quel passaggio ”sarò l’avvocato difensore del popolo italiano”..
L’avvocato difensore.
Perché quelle parole, mi sono chiesta?
Ma Conte ha chiaro quale ruolo è chiamato a svolgere? Lui non deve difendere alcunché da qualcosa, lui è chiamato a guidare politiche, uomini e donne di governo. È chiamato a “agire”, non a reagire ad azioni altrui?
E soprattutto, avrà chiaro che la figura del Presidente del Consiglio, essendo un organo dello Stato, dovrebbe avere una sua autonomia istituzionale al di sopra dei suoi stessi Ministri e delle forze politiche che hanno fatto il suo nome?
E invece temo, già dalle sue prime parole, quel suo richiamo al “contratto”…strumento che non ha alcun riconoscimento e peso istituzionale, che il problema non sia tanto la corrispondenza del suo curriculum vitae, ma la sua autonomia.
Si perché la campagna elettorale è finita da un pezzo e adesso non basteranno più le frasi a effetto e le enunciazioni generiche, serviranno provvedimenti, coperture, servirà esaminare dossier internazionali, crisi aziendali…e risolvere.
Nei giorni scorsi chiunque ha potuto scaricare e leggere il famoso “contratto” tra M5S e Lega, un contratto di cui abbiamo avuto varie versioni più o meno ufficiali, in alcuni casi sufficienti a far crollare, con il corollario di dichiarazioni poco oculate, titoli in borsa come quello di Mps.
Un documento per alcuni aspetti generico, per altri inquietante (ad esempio nell’istituzione di organismi come il comitato di conciliazione), per gravi assenze come i diritti civili, per gravi affermazioni come i principi per la gestione dei flussi migratori, per l’introduzione della flat tax in barba a ogni principio di progressività…
Poi ci sono richiami…a molte cose che i nostri governi hanno già realizzato, come il Reddito di Inclusione sociale, le detrazioni per le spese per la cura dei figli e la conciliazione, o il recupero dei pasticci della Fornero (si parla lì di 5 mld ma i governi a guida Pd hanno fatto ben 8 salvaguardie coperte con circa 20 mld).
E ancora molte altre cose che verificheremo strada facendo. Non ho trovato riferimenti alle minacce ascoltate in campagna elettorale circa la cancellazione delle norme sui diritti civili o la revisione della 194, ma è certo che non dobbiamo abbassare la guardia su niente di tutto ciò.
E poi tra il non detto c’è il dibattito sottotraccia su chi sarà il Ministro dell’economia, partita tutt’altro che secondaria, visto che alcuni signori di oltreoceano, come tal Bannon, tra i sostenitori di Trump, ci considerano oramai prossimi all’uscita dall’euro…insomma non proprio dettagli di secondo piano.
Adesso il nostro lavoro sarà fare davvero opposizione in Parlamento e nel Paese, cercando di impedire o modificare alcuni provvedimenti che vanno in queste direzioni e soprattutto costruendo una possibile alternativa vera a questo schieramento. Richiamando chi governa a rispondere alle sfide del Paese, quelle economiche e sociali, quelle internazionali, quelle quotidiane.
E ci sarà da lavorare, tanto. Con umiltà e con capacità di riconoscere e rimediare gli errori che abbiamo compiuto, e difendendo le buone cose realizzate dai nostri Governi.
Ci sarà da rimettere assieme i pezzi di una sinistra frantumata in mille rivoli. Una frantumazione che rischia di impattare subito con l’appuntamento amministrativo.
Ci sarà da rifondare un Pd “comunità”, capace di tornare a radicarsi e a rappresentare le difficoltà e le speranze, con uomini, donne e visioni per cui valga la pena impegnarsi.
È un lavoro complicato, sarà a lungo un lavoro che si scontrerà con le delusioni e con gli abbandoni che abbiamo avuto. Faremo i conti con sedi che si sono svuotate, anno dopo anno, con territori abbandonati dal nostro impegno politico, con segmenti sociali che si sono sentiti distanti dalle nostre priorità. Dobbiamo saperlo.
Ma non c’è una strada semplice quando perdi così male e ovunque. Ci sono strade faticose, tutte in salita. Strade sconnesse…come quelle che abbiamo in giro per l’Italia dopo una riforma delle Province che è rimasta a metà.
Per ripartire occorrerebbe il contributo di tutti, perché non è più tempo di etichette e cordate, un contributo che forse avrebbe dovuto emergere anche dalla nostra assemblea nazionale.
Non è andata proprio cosi, e il tempo non è molto per rimettersi al lavoro.
Conviene sbrigarsi, perché non ci sono, come qualcuno ha detto “i barbari”, ma c’è un programma di governo che ha il sapore amaro e cattivo della peggiore destra che abbiamo conosciuto.
Si. Conviene sbrigarsi.
Susanna