Quel bisogno di solidità e di concretezza della politica

C’è qualcosa di nuovo che bisogna saper leggere e interpretare. Non sono solo splendide piazze quelle delle Sardine, meraviglioso risveglio di una nuova generazione e di un popolo che ha deciso di alzare la testa, o dei ragazzi e le ragazze di “Fridays for future”, o delle donne in piazza contro la violenza. Non è solo la dimostrazione che i sondaggi non sono l’unico strumento con il quale comprendere l’orientamento dei cittadini. Non sono solo il volto italiano della risposta ai linguaggi sovranisti e salviniani. No.

C’è una domanda profonda di cambiamento. C’è una richiesta diretta alla politica ed in modo particolare a questa parte politica: concretezza, serietà, comunità, popolo, forse un nuovo umanesimo. La storia della politica italiana è una bella storia che vale la pena di rileggere, di ripercorrere. Le grandi riforme del Paese, la riforma sanitaria, quella del diritto di famiglia, il divorzio, l’aborto, sono state generate o da un dialogo tra la DC che governava ed il PCI che rappresentava gli strati popolari, o da una grande sintonia tra il Parlamento e i cittadini, o le donne, là fuori.

Le piazze, il popolo e la politica erano legate da un formidabile sentire comune. Oggi, questo filo non esiste più, non in quella dimensione, non con quella forza ideale è concreta. Mi si dirà, “ma era l’Italia del dopoguerra, o quella che batteva il terrorismo”. Ma non basta come risposta. Troppo si è abusato in questi anni del termine “riforma”, troppo si è pensato che bastasse avere una comunicazione formidabile per costruire consenso. Poco si è lavorato per far nascere, dal basso, provvedimenti, novità, cambiamenti nelle istituzioni. Troppo si è raccontato ed agito nella convinzione che bastasse esercitare la funzione del Governo per garantire consenso alla sinistra.

Oggi, quelle piazze dicono altro. Dicono che puoi essere anche “figo” su dirette Facebook o su Twitter, ma che lì, in quelle puntuali piazze, verresti sommerso da un fiume di fischi. Ilva, Alitalia, il dissesto idrogeologico, le mille crisi aziendali, la precarietà del lavoro, la violenza sulle donne, il debito pubblico… Per affrontare questi grandi questioni nazionali non bastano Governi e alleanze con numeri solidi, servono collanti politici, visioni comuni e soprattutto serve un’anima. È quell’anima che oggi non c’è. È quell’anima che tiene assieme un popolo e il Governo, i cittadini ed il Parlamento. Anche mentre scrivo la maggioranza traballa. Sulla legge di bilancio, sulla prescrizione… e allora non basta per sentirsi al sicuro, dire che contro la destra ci sono le piazze de le Sardine. No, perché a questo Paese serve serietà, serve una politica e servono rappresentanti concreti.

Quando questo Governo è nato, con tutti i limiti dovuti alla contingenza di quella fase, il segretario Zingaretti fu molto chiaro: ok a un Governo a patto che si investa su una svolta di grande qualità. Ecco, la scissione renziana e i quotidiani distinguo non hanno nulla a che fare con questo obiettivo. Se non c’è quella svolta, non credo che questa esperienza possa andare molto oltre.

Forse lo avrete già letto, o forse lo avrete ascoltato nel bel film trasmesso su Rai1, su Nilde Iotti. Se non lo avete visto cercatelo. Ne vale la pena. A vent’anni dalla sua morte molto si è parlato di questa signora della Repubblica, del suo lavoro parlamentare e politico, ed è certo una buona cosa. Leggetevi il suo discorso di insediamento  eggetelo con attenzione e provate a immedesimarvi in quella fase storica. Nel film si ricorda un passaggio, quando Berlinguer chiese a Nilde Iotti la disponibilità ad essere eletta Presidente della Camera. “Iotti venne scelta non solo per le sue capacità, ma per dare un messaggio alla rivoluzione femminile”. La politica che parlava al Paese, ai suoi movimenti, al bisogno di cambiamento. La serietà e la concretezza. E trovo qui un filo rosso tra quella madre Costituente, tra quella stagione, e la domanda che le piazze formulavano. Vorrei che di questo ci preoccupassimo, guardando con rispetto le mobilitazioni, senza l’ansia di apporre etichette.

L’ostinazione dell’ascolto, della comprensione, del costruire risposte a domande di senso e di futuro hanno caratterizzato la classe politica dell’Italia che usciva dalla guerra. Non è stato invece uno spettacolo edificante quello di queste settimane nelle aule Parlamentari con risse e qualche buffonata. Servono maggioranze solide, ma non bastano i numeri (e certo il voto differenziato di IV non va in questa direzione), ma con una profonda cultura politica, con “un’anima”.

Quella che stiamo vivendo non è l’Italia del dopoguerra e il Pd non è il PCI, ma oggi, come ieri, si esce da una crisi politica solo guardando avanti e guardando al Paese, nelle politiche che si mettono in atto e nel coraggio con cui scegliere uomini e donne che a quel Paese parlano.

Solo così si ritrova un filo forte tra la politica, tra questa parte politica, la sinistra, e quelle piazze bellissime.