Ri-costruire, e trovare l’uscita

In aula i toni sono alti: ieri sera abbiamo conosciuto dalle tv e dalle agenzie i titoli della lettera che il Governo ha inviato a Bruxelles circa gli impegni richiesti da Bce, Francia e Germania, ma non una carta, non una comunicazione è stata trasmessa al Parlamento. Non è solo la ripetizione di un rito tra maggioranza e opposizione, stiamo parlando di uno dei momenti più difficili nella storia della nostra democrazia, di una crisi senza precedenti e delle risposte che servono ad arginarla e a ripartire senza causare una deflagrazione sociale.

Nella stessa giornata abbiamo visto le drammatiche immagini di un’Italia massacrata dal maltempo in Liguria e nell’alta Toscana, del massacro sociale che rischia di innescare l’ipotesi di un’ulteriore liberalizzazione nella possibilità di licenziare da parte delle imprese e l’apertura di questa possibilità nel pubblico impiego. Più cauti gli annunci sulle pensioni che di fatto non ci dicono niente di nuovo.

Il segno è comunque chiaro: saranno i soliti a pagare il conto e soprattutto non si vede niente sul fronte della crescita che possa rappresentare un sostegno, un incentivo per le imprese e quindi per dare ossigeno alle attività produttive di questo nostro Paese fermo al palo. Non c’era da aspettarsi altro, non c’era da attendersi chissà quale novità. Non potranno arrivare da questo Governo.

Non potranno arrivare da una maggioranza eletta con numeri bulgari ed oggi costretta a continui voti di fiducia per procedere su qualsiasi provvedimento, a tenere in aula tutti i ministri e i sottosegretari per non finire sotto anche nelle votazioni su banali ordini del giorni. E’ accaduto sul rendiconto dello stato, sulle modifiche all’art. 41 e su vari ordini del giorno. Accade oramai quasi ogni giorno.

Loro non ci sono più, l’Italia continua a logorarsi e a vedere lo spettro di un ulteriore peggioramento della sua economia, noi, il centrosinistra, facciamo ancora fatica ad accreditarci e renderci riconoscibili al Paese. Continuo a pensare che le elezioni siano vicine, forse a primavera, forse prima? Ma il tema sul tavolo non si risolve solo con le urne.

Le grandi manifestazioni che il 15 ottobre si sono svolte in tutto il mondo (e  solo in Italia abbiamo visto la presenza di violenza ed incidenti) esprimono domande forti e legittime, interrogano l’economia, il nostro modello di sviluppo e soprattutto la politica. Quale futuro per i milioni di giovani europei e non soltanto, laureati, formati, competenti? Quali forme democratiche possono governare oggi processi di dimensioni globali che vedono la finanza condizionare economia reale, welfare, diritti, condizioni di vita materiale dei cittadini di buona parte del mondo occidentale? Gli stessi Parlamenti, ma paradossalmente gli stessi Governi, vedono oggi la loro sovranità limitata dagli indirizzi di un organismo “tecnico” come la Bce. La nostra cornice e la nostra via di uscita non può che essere l’ Europa, ma risulta anche molto evidente come una comunità di persone così grande non possa affondare le proprie radici solo nella moneta comune.

I movimenti, la mobilitazione, le grandi manifestazioni sono importanti momenti per rendere visibili e riconoscibili domande. Noi, il Pd, siamo un partito e ci compete fornire risposte che oggi necessitano di parole nuove e di messaggi chiari.  Il Welfare, il sistema previdenziale e istituzionale, l’accesso al sapere, i mercati, l’intervento dello Stato nell’economia e i beni comuni. Abbiamo bisogno di costruire nuovi equilibri capaci di reggere a questi profondi scossoni, e fondare qualche nuovo paradigma dello sviluppo su cui generare nuova crescita. E’ indubbio che non siamo stati fermi, da un anno e mezzo a questa parte su economia, lavoro, welfare, diritti abbiamo prodotto idee, proposte e confronto. Alla fine di novembre ci sarà l’appuntamento su lavoro autonomo e impresa. Insomma, non ci manca l’elaborazione, io credo che dobbiamo fare uno sforzo più grande per sintetizzare questo lavoro nella nostra idea di Paese da mettere in campo.

In queste settimane tante idee e tanto protagonismo ( a mio parere qualche volta un po’ troppo maschile e un po’ troppo personale), di molti nostri dirigenti, amministratori, eletti, hanno viaggiato, in vario modo per l’Italia dall’Aquila, a Bologna e fino a Firenze. Ognuno di questi contributi è comunque prezioso, purché queste idee e queste energie siano al servizio del comune progetto che abbiamo voluto: quel progetto si chiama Pd, e il fine che si è posto è il cambiamento del Paese. Spero che ci crediamo ancora tutti.

Il 5 novembre il nostro Partito terrà un grande appuntamento a Roma. Sarà un momento importante, lavoriamo affinché sia molto partecipato. Dal giorno dopo dobbiamo essere pronti, perché può toccare a noi in ogni momento e anche molto presto. E se toccherà a noi c’è da correre per uscire dal tunnel senza lasciare nessuno solo, e battendo la sfiducia grande che oggi riguarda l’intera classe politica e dirigente. Saremo diversi, troveremo nuova fiducia, ma muoviamoci, il tempo è davvero poco.

Susanna Cenni

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