Ripartiamo dall’eguaglianza sociale

Non potrei cominciare questa newsletter senza dedicare un pensiero a chi, dalla notte del 5 aprile, ha visto la propria vita cambiata e stravolta dal terremoto che ha colpito l’Abruzzo con una forza devastante. Il mio pensiero va ai troppi morti e a tutte le persone che in quel disastro hanno perso un familiare, un amico, una persona cara. A chi è rimasto senza un affetto, senza una casa e a chi oggi ha paura, va la mia solidarietà e la mia vicinanza. Questo è il momento dell’unità, dei soccorsi, della collaborazione di tutti per gestire al meglio l’emergenza. Poi verrà il tempo della riflessione, delle indagini e dell’accertamento delle responsabilità. Invito tutti ad andare sul sito del Partito democratico – www.partitodemocratico.it – che si è prontamente attivato per aiutare la raccolta fondi Caritas e raccogliere le adesioni dei volontari. Il popolo abruzzese è forte e laborioso, con l’aiuto di tutti ce la farà.

Questa tragedia nazionale, che giustamente occupa tutta l’attenzione del Paese e delle istituzioni, è giunta dopo aver scelto l’argomento di questo mio editoriale. Ve lo propongo lo stesso: perché parla dell’Italia di oggi, di lavoro e paura del futuro, ma anche di speranza. Quella di cui abbiamo bisogno in queste ore difficili.

Il Circo Massimo di nuovo pieno. Dopo la manifestazione del Pd di qualche mese fa, sabato 4 aprile è stata la Cgil, il più grande sindacato dei lavoratori, a scendere in piazza per ricordare al governo che la crisi è concreta e tocca la vita delle persone, anzi, cambia quelle vite. Le trasforma in vite inquiete, preoccupate, qualche volta disperate. Trasforma improvvisamente gli investimenti fatti per acquistare una casa, dopo anni di sacrifici, in una scelta da rivedere: perché non si riesce a pagare il mutuo, perché la paura allontana la voglia di metter su famiglia, di dare un tetto al proprio amore, di dare un futuro migliore ai propri figli che stanno studiando.

La crisi ruba il futuro, alimenta le paure. Anche le paure non giustificate. La crisi cambia la percezione della quotidianità, i punti di riferimento, le priorità.

Che la crisi c’è ed è grave, sono stati in molti a ricordarlo, se mai ce ne fosse bisogno, al governo Italiano: l’Ocse, la Banca d’Italia, la associazioni di impresa e quelle dell’industria, ma anche i capi di stato e di governo di mezzo mondo, durante il G20 a Londra. Della crisi si parla attraverso i media, nei convegni, e oramai da mesi ovunque, dai luoghi di lavoro alle scuole, fino ai negozi dove si va a fare la spesa. Qualche giorno fa ho incontrato per uno scambio di opinioni un gruppo di imprenditori valdelsani, gente che ha investito nel camper, nel mobile, nel metalmeccanico, persone che non ho sentito in questi anni reclamare “contributi pubblici” e che oggi chiede a noi tutti, nel fare la nostra parte, di aiutarli a sostenere gli sforzi di chi vuol continuare a produrre qui, nel nostro territorio. Mi hanno parlato di contratti di solidarietà, di snellimento burocratico, di premialità per chi accorpa e accresce la dimensione delle imprese, per chi innova e per chi diversifica la produzione, mi hanno parlato di credito e di fondi di rotazione. E hanno aggiunto che “confrontandoci con i colleghi di Francia, Germania o Svizzera, ci rendiamo conto che c’è un abisso tra le azioni che quei Paesi stanno mettendo in campo per l’economia e quello che sta facendo l’Italia”.

In gran parte queste osservazioni rispondono alla elaborazione del Pd per far fronte alla crisi. Abbiamo chiesto di intervenire sul potere d’acquisto dei cittadini (salari e pensioni), dare un sostegno a chi resta senza reddito (assegno di disoccupazione), incentivare il lavoro femminile, modificare il patto di stabilità per la spesa degli enti locali, modificare gli ammortizzatori sociali, tassare una tantum i redditi sopra i 120 mila euro per finanziare interventi urgenti a favore delle situazioni oramai socialmente drammatiche. Sono queste le proposte che il Partito democratico sta lanciando in queste settimane: la maggior parte sono rimaste puntualmente senza risposta, in qualche caso, come per il patto di stabilità, esse sono state prima condivise e poi rinnegate. Abbiamo visto un atteggiamento molto diverso, purtroppo, anche in questo ultimo voto di fiducia all’ennesimo decreto su crisi e quote latte.

A Londra sono stati affrontati temi e dette parole importanti; ancora una volta, gran parte del merito va al Presidente degli Stati Uniti. Ma alle parole dovranno seguire i fatti. A Londra, purtroppo, ci sono stati anche episodi preoccupanti, violenti, simbolicamente pesanti. Non dobbiamo sottovalutarli. C’è tanta rabbia che può esplodere senza controllo, c’è la rabbia di chi sta pagando di persona una crisi causata da modelli e speculazioni che nessuno ha fermato.

Tutti, anche qualche nostro Ministro, sostengono che dalle crisi si può uscire anche innovando e rifondando le ragioni di una società. Non potremo farlo, però, se non rimettiamo davvero al centro il tema e gli strumenti per una nuova e vera uguaglianza sociale nelle condizioni di partenza, dentro ai nostri modelli economici e sociali. Eguaglianza significa ripensare gli strumenti affinchè il merito – quello di studenti brillanti, di lavoratori e lavoratrici volenterosi e onesti, di imprenditori che investono sull’impresa anziché sulla barca di lusso – sia il vero discriminante nell’accesso al lavoro, alle carriere, al credito. Significa parlare con coraggio di redistribuzione, di giustizia, di pari opportunità.

Percorrere questa strada significa, in questa nostra Italia, cambiare registro davvero e con coraggio, significa avere classi dirigenti all’altezza del compito nei governi, nella politica, nel mondo dell’impresa, nella rappresentanza, nella ricerca e nel sapere.

Significa non lasciare nessuno indietro, significa essere senza sé e senza ma con chi sta un passo indietro, con chi teme di non farcela a vedere la fine di questo tunnel.

Questo è un compito straordinario per il Pd, è la sua strada da percorrere.

One thought on “Ripartiamo dall’eguaglianza sociale

  1. Carissima Susanna. “Non riesco a capire come il P.D., nato con l’intenzione di essere la casa comune di tutti i riformisti,possa trasformarsi in cinghia di trasmissione di un sindacato in questa fase solo antagonista e non essere un partito libero,autonomo e riformatore.” Credo che il sindacato e la politica possano fare il bene comune del cittadino e del lavoratore se ognuno farà il proprio mestiere in autonomia dall’altro. Saluti

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