Per adesso la riforma sul mercato del lavoro varata dal Consiglio dei Ministri è un documento. I pilastri fondamentali sono noti dalla conferenza stampa del governo, dai giornali; sui suoi contenuti il dibattito è aperto da giorni.
Questa mattina il Ministro Passera, in una sua audizione, ha illustrato previsioni certo non rassicuranti: siamo in piena recessione e al momento non si vedono segnali di inversione di tendenza.
Sappiamo bene che le misure necessarie e pesanti che il Governo ha varato, con il nostro sostegno, sono state fondamentali per evitare il disastro, ma la ripresa economica e la crescita, presupposti fondamentali per l’occupazione, non saranno dietro l’angolo.
È in questo contesto che dobbiamo ragionare sulla riforma del mercato del lavoro, sostenendo lo sforzo del Governo, ma anche cambiando e correggendo con i lavori parlamentari gli aspetti che non convincono. Del resto questo è il compito che la Costituzione assegna a Camera e Senato, quali organi rappresentativi del Paese.
La crisi è ancora tra noi. Abbiamo ancora problemi di competitività, di scarsa innovazione, di scarsa ricerca e facciamo indubbiamente fatica a liberalizzare settori chiusi alla concorrenza. Ma sarebbe sciagurato, in questo Paese, scambiare il bisogno di innovare con la cancellazione di tutele e welfare. Sarebbe folle mettere sul piatto parole come crescita e diritti ipotizzando la loro alterità e la loro incompatibilità, e qualcuno, forzando un po’ i toni sta facendo questo errore.
Io credo che nella proposta del Governo ci siano importanti novità e un allargamento delle tutele a lavoratori che sino ad oggi ne erano esclusi. Importanti sono anche alcuni segnali culturali, certo troppo timidi ma ci sono, come il congedo di paternità obbligatorio. Sulle modifiche all’articolo 18 il Pd ha fatto la scelta giusta: lavorare per correggere quella parte che oggi, dietro una generica motivazione economica, esclude ogni intervento del giudice e consegna alla mera monetizzazione il licenziamento del lavoratore.
Non si tratta di scegliere tra Monti e la Cgil, (vorrei ricordare che anche la Cei ha chiaramente chiesto una correzione), ma affermare che il Paese va avanti se riusciamo a tenere assieme economia e coesione sociale, non generando nuova tensione, paure, e in qualche caso disperazione, perché questo sta accadendo. Riguarda piccoli imprenditori strozzati dai ritardi nei pagamenti e la rigidità del credito, riguarda tanti lavoratori che a 50 anni rischiano di trovarsi senza niente in mano, senza reali possibilità di ricollocarsi e un orizzonte previdenziale allontanato, riguarda i ragazzi e le ragazze italiane. E del resto buona parte del mondo produttivo non chiede questo.
Non si tratta di accreditare, avallare e aggravare la distanza presunta fra i tecnici salvatori della patria e la politica che “distribuisce caramelle” ma di provare a tenere assieme questo paese, creare fiducia, perché davvero ha ragione Bersani, o si salva il Paese assieme oppure il Paese sprofonda, e in quel caso i vincitori non esistono.
La politica e i partiti, indubbiamente, devono riformarsi e ascoltare seriamente i segnali forti e chiari che la società sta dando. Noi, il Pd, dobbiamo farlo più di ogni altro perché siamo nati con questa ragione.
E attenzione ad avallare l’idea di una democrazia senza partiti, senza strumenti di rappresentanza, che si affida a élite certo preparate ma senza popolo. C’è bisogno di nuovi partiti, di una rinnovata relazione con associazioni, movimenti, soggettività in campo, ma c’è bisogno di rappresentare e di rappresentanza. Non esiste una democrazia che si affida solo alla volontà o alla competenza di uomini forti, a “papi stranieri”. Non esistono scorciatoie con le quali “applicare” riforme, senza confrontarsi.
Quando nei mesi scorsi abbiamo discusso e votato la riforma del sistema pensionistico abbiamo concorso al suo miglioramento, e molti dei nostri emendamenti, se accolti, avrebbero evitato l’appello di Napolitano di questi giorni a risolvere la situazione di oltre 200.000 esodati.
Troppo spesso sentiamo richiami semplificati alla “modernità”, alla accelerazione di tempi, al superamento di concetti come concertazione, confronto, dibattito, ascolto e correzione. Ma quei concetti hanno significato persone, società, e hanno fatto la differenza nella costruzione democratica dei processi sociali ed economici.
Andiamo avanti nel processo di risanamento, facciamo le riforme fondamentali, facciamo una nuova legge elettorale, ma rifondiamo la democrazia e difendiamone i fondamentali.
Non credo a un Paese e a una democrazia senza partiti e senza una funzione sovrana del Parlamento.
Quella democrazia assomiglierebbe molto, moltissimo, a qualcosa di molto diverso e di molto distante dalla democrazia stessa.
Susanna Cenni
le riforme fatte da monti&c non hanno salvato il paese come si vorrebbe far credere al popolino e a chi poco competente si è autoconvinto e si sciacqua la bocca con questa tiritera, ma la scarsa equità delle stesse ha impoverito molta gente.
quindi è ora di smetterla di sostenere questi soggetti nella loro opera socialmente distruttiva, e l’ignoranza non giustifica la complicità di chi con il proprio voto continua ad avallare certi provvedimenti.
per quanto rigurda l’articolo 18, anche i più stupidi sanno che non è questo il freno alla creazione di nuovi posti di lavoro e/o agli investimenti di società straniere nel nostro paese, spero che vogliate difendere con più forza questa conquista di libertà, fino a togliere il sostegno a questo governo qualora continui nei suoi propositi reazionari.