Tempi nuovi e tempi sbagliati

«Oggi è il giorno dell’America, della democrazia, della speranza, del rinnovamento»: così ha esordito il Presidente Joe Biden nel suo intervento, nel giorno della cerimonia di giuramento e insediamento. Un giorno ed un tempo nuovi, quelli che si aprono negli Stati Uniti. Sono passati solo pochi giorni da quando un manipolo di suprematisti Trumpiani – su incitamento del Presidente uscente e forse con la complicità di alcuni senatori repubblicani e di agenti che avrebbero dovuto difendere il Parlamento – ha assaltato il Campidoglio, producendo un fatto dalla gravità inaudita, con morti e feriti, e la ferita più grande inferta a quella democrazia.

Immagini che hanno fatto il giro del mondo, e sulle quali, sinceramente, c’è poco da sorridere.

Il 20 gennaio quelle parole di Joe Biden, quel discorso pacato e forte e quella cerimonia simbolicamente fortissima, hanno consegnato al passato la violazione del parlamento e lo stesso Trump, senza nasconderli e svoltando la storia.

Più volte Biden ha richiamato la speranza e la possibilità di generare il cambiamento individuando il simbolo più forte in Kamala Harris, la prima donna vicepresidente.

E in quella cerimonia, nel suo scorrere, nell’ovazione che ha accolto l’ingresso della Harris, nel succedersi a quel podio di tante donne – la giudice, la capo dei vigili del fuoco, la giovane e magica poetessa di colore, e ancora Lady Gaga e Jennifer Lopez – il cambiamento si è fatto largo, camminando sulle gambe di donne simbolo della musica americana e mondiale, donne di colore, sudamericane: eccolo il cambiamento, ha questi volti, queste voci, questi occhi.

Il cambiamento è il ritorno degli Stati Uniti dentro all’Organizzazione Mondiale della Sanità, dentro agli accordi globali sul clima, nel rispetto dei territori dei nativi ed è molto, molto altro.

E ancora, forte è stato il richiamo del presidente Biden alla costruzione dell’unità nazionale, necessaria «per sconfiggere gli errori, per sconfiggere il virus». Per sconfiggere la paura.

Sono, invece, tempi sbagliati quelli aperti nel nostro Paese con la crisi di Governo. Tutti sapete che la scorsa settimana la componente di Governo di Italia Viva si è dimessa, con una lettera e la conferenza stampa di Matteo Renzi.

Considero questa scelta sbagliata nel merito e nel metodo. Nel merito, perché da dicembre si era aperto un lavoro nella maggioranza proprio per integrare la proposta del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR) che dovrà costituire la base per utilizzare le risorse del Recovery Fund, per concordare le priorità di legislatura su cui lavorare e soprattutto per la ripartenza del Paese. Quel lavoro aveva visto tavoli settoriali e la consegna di contributi, per lo più accolti dalla nuova stesura, che comunque dovrà tornare all’esame del Parlamento e quindi suscettibile di ulteriori modifiche.

Sbagliata nel metodo, perché non puoi dire che “vuoi dialogare” se, mentre tutte le forze di maggioranza lavorano per scongiurare una crisi costruendo la mediazione, tu convochi una conferenza stampa e “dimetti” davanti al Paese le tue Ministre.

Il fatto è avvenuto. Il Governo ha perso una componente debole nel Paese, ma con un numero importante di deputati e senatori. Conte si è presentato alle Camere chiedendo un voto di fiducia che c’è stato, ma che certamente, per gli esili numeri del Senato, ha bisogno di essere consolidato per continuare a governare.

La direzione del Pd è stata molto chiara sul tema: è utile non dimenticare come e perché questo Governo è nato. Se non ci fosse stato, forse non avremmo generato una nuova stagione europea, ed un governo europeo della pandemia e delle sue conseguenze. È incomprensibile come si sia voluto negare tutto questo. Una crisi adesso è pura follia, anche perché mina quel bisogno di credere nella ripartenza, quel bisogno di stabilità mentre dobbiamo mettere le gambe al piano vaccinale, all’attuazione delle politiche di ripartenza, al quinto decreto ristori per risollevare settori in enorme difficoltà. Si lavorerà e si farà di tutto per non consegnare al caos il Paese, con trasparenza, ma certamente senza il coinvolgimento delle destre populiste, e non sarà una cosa semplice. Purtroppo, la dimensione di irresponsabilità e di inaffidabilità di Renzi e del suo partito hanno superato limiti molto alti.

In questi giorni il calendario ci ha consegnato una ricorrenza grande: il centenario del PCI, celebrato il 21 gennaio. Molti di noi hanno ricordi, pezzi di storia, di esperienza personale che vengono da lì. Li ho anche io, che ho preso la mia prima tessera da giovanissima. Ci sarà tempo e modo di parlare e di riflettere, ma in questi giorni mi è tornato spesso in mente soprattutto quel senso di appartenenza a una comunità che voleva cambiare le cose e che, in parte, lo ha fatto pur non governando. È proprio quel senso che vorrei trovare e alimentare ancora, quell’idea che da soli non si va da nessuna parte e che insieme si possono generare cambiamento ed emancipazione sociale.

Quel 21 gennaio è nata anche una grande madre dell’impegno politico per le donne, Marisa Rodano, ne ho scritto su Immagina. E sempre in quella data, quest’anno, si sono svolti i funerali di un uomo straordinario del PCI e della sinistra di oggi, un riformista vero come Emanuele Macaluso.

C’è da rimboccarsi le maniche per aggiustare errori e aprire tempi nuovi anche da questa parte del mondo.