Un mese di guerra. È il tempo di lavorare alla pace.

La guerra di Putin dura già da oltre un mese. I numeri delle vittime, anche quelle civili, sono alti; le poche immagini che ancora filtrano ci mostrano città devastate dove non si riesce nemmeno più a seppellire i morti con un gesto di pudore o di rispetto. La cronaca che entra nelle nostre case ci aggiorna sulle avanzate e sulla resistenza, ci mostra le storia di famiglie che si dividono e che scappano, le code infinite di donne e bambini in fuga verso l’Europa, verso di noi.

Molti parlano di un primo fallimento di Putin che mirava a chiudere la “pratica Ucraina” in tempi molto più brevi. Ma la sua propaganda continua: mette in scena un despota “griffato” acclamato nello stadio, ferma una conduttrice che irrompe in diretta con un cartello contro la guerra, parola oramai vietata, arresta migliaia di cittadini che manifestano il loro dissenso. Putin è ormai un autarca «prigioniero della sua narrazione ideologica». È un despota con il quale la destra italiana tutta, e non solo, per anni ha intrattenuto relazioni politiche e costruito canali privilegiati; un despota che, attraverso la sua ambasciata, prova a chiudere la bocca anche alla stampa italiana.

Non è semplice, per me, parlare di questa guerra. Continuo a leggere tutto quanto penso possa essere utile a comprendere, ascolto competenze, esperti, osservatori. Seguo giovani giornalisti coraggiosi e professionali. Non è semplice votare con serenità norme, risoluzioni, impegni del Governo perché non si tratta di un momento qualsiasi e credo che sia giusto anche ammettere i propri interrogativi, i propri dubbi. Alla Camera abbiamo ascoltato l’appello del presidente ucraino Zelensky che ha avuto toni più moderati che altrove, che ha riconosciuto il grande impegno italiano per l’accoglienza dei profughi, ricordandoci con forza il dramma che il suo Paese sta vivendo. È stato importante votare in modo compatto l’impegno del nostro Paese verso l’Ucraina, un impegno assunto contemporaneamente da tutti i Paesi membri. Sì, compreso quel passaggio sugli aiuti anche militari. Se un Paese sovrano è invaso, un Paese alle porte dell’Europa e che in quella Comunità chiede di entrare, non puoi voltarti dall’altra parte. Detto ciò (e, vi garantisco, avendo votato senza leggerezza), il tema grande adesso è come si lavora per evitare di varcare quel confine tra sostegno legittimo alla difesa di un popolo invaso e qualcos’altro che tutti vogliamo scongiurare; capire come si costruiscono le condizioni per la fine del fuoco e la fuoriuscita dal conflitto. Penso da tempo che abbia senso la costruzione di un sistema di sicurezza e difesa europeo, ma che ne abbia un po’ meno una ripresa incontrollata della corsa agli armamenti dei singoli Stati.

Non possiamo tacere le enormi sottovalutazioni dell’Occidente tutto, dell’Europa, del nostro Paese circa quanto si stava preparando. E, nonostante da anni lì siano stati sospesi diritti e pluralismo, con la Russia abbiamo continuato ad avere importanti relazioni economiche per la fornitura di gas e fertilizzanti, ma anche come mercato di sbocco per le nostre produzioni.

Oggi queste relazioni producono i primi devastanti effetti.

Si corre, allora, per riorganizzare la fornitura energetica ma non si parla a sufficienza, ad esempio, delle ricadute che potrebbero esserci, per anni, nello scenario della sicurezza alimentare. Russia e Ucraina sono state a lungo “il granaio del mondo”; intere aree del nord Africa ne sono quasi totalmente dipendenti e una nuova carestia potrebbe far esplodere in quei Paesi proteste pesantissime e nuovi esodi. L’Europa e l’Italia stanno correndo ai ripari per modificare i limiti previsti dalla Pac alla produzione agricola di cereali e proteine vegetali, per sopperire alla mancanza di arrivo di mais e grano con maggiori produzioni interne, alla sostenibilità dei nostri stessi sistemi alimentari. Nell’immediato abbiamo ricadute molto gravi sugli agricoltori per l’esplosione dei prezzi di carburanti, energia e per la carenza di cereali e fertilizzanti. Ricadute che pesano poi, inevitabilmente, sui consumatori finali per l’aumento dei prezzi di pane, pasta, latte, non sempre giustificabili con il conflitto, più probabilmente generati da speculazioni finanziarie, ma che possono generare enormi difficoltà nelle famiglie a basso reddito.

E non credo che la via possa essere quella che alcuni paventano, ovvero fermare gli obiettivi della “transizione ecologica”, il “green deal”. Sarebbe anzi, questo, un tragico errore.

Il Papa sta pronunciando parole importanti, forti. Richiamandoci tutti al significato della pace, una pace che va costruita, con ostinazione, percorrendo ogni possibile tentativo diplomatico.

Il 24 febbraio ha cambiato per sempre lo scorrere della storia: la direzione che questo scorrere prenderà dipende dalla conclusione del conflitto e anche dalla capacità che l’Europa avrà di introdurre politiche costruttive, vie di dialogo vere, mediazioni e risposte alle paure, al disagio e alla possibile rabbia che questa stagione può generare nelle persone.

Il Pd ancora una volta ha dimostrato una grande responsabilità, nelle sue posizioni come nell’impegno nella raccolta degli aiuti e nell’accoglienza. Sarebbe il tempo di una voce più forte, compatta ed autorevole della sinistra europea tutta per costruire la via di uscita dalla guerra e nuovi equilibri di pace e di sviluppo. Non bastano i contributi, pur fondamentali, degli esperti di politiche internazionali e geopolitica; servono leadership capaci di costruire la visione di un futuro inedito. Nei giorni scorsi il Consiglio europeo si è incontrato su molti punti, ma non ha di fatto compiuto straordinari passi avanti. Quella compattezza che l’Europa ha dimostrato va concretizzata sul serio, in tempi brevi.

Adesso serve concentrare gli sforzi per fermare il conflitto e costruire un accordo e una prospettiva di pace duraturi: non mi pare che il discorso di Biden a Varsavia abbia avuto il respiro necessario.

L’Europa ha lo spirito di Ventotene nelle sue fondamenta, nel suo DNA c’è la convivenza dei popoli in pace. Abbiamo bisogno che quello spirito diventi la vera guida in questi giorni.

Lo spirito che David Sassoli ci ha ricordato nel suo ultimo intervento pubblico sull’Europa: «Abbiamo reagito e costruito una solidarietà per cui nessuno è al sicuro da solo, ma abbiamo visto nuovi muri, i nostri confini in alcuni casi sono diventati confini tra ciò che è morale e immorale, tra umanità e disumanità». E ancora: «Oggi l’Europa ci dà una grande possibilità di abbandonare l’indifferenza: è la nostra sfida, quella di un mondo nuovo che rispetta le persone, la natura e crede in una nuova economia, basata non solo sul profitto di pochi, ma sul benessere di tutti».

Quel “mondo nuovo” va costruito, con urgenza.