Scarica l’articolo dall’Unità di venerdì 11 giugno
Io sono per prendere sul serio la riflessione di Alessandra Bocchetti, e sono per farlo guardando in faccia le donne italiane e questo nostro Paese. Sì, le donne lavoratrici tutte. Quelle, appunto, che ogni giorno, oltre a lavorare nel pubblico o nel privato, svegliano questa Italia, la vestono, la accudiscono, la alimentano, la curano, con fatica, con doti funamboliche ed anche con affetto.
Vedete in questi giorni sono stati numerosi i giornali che si sono prodigati in interviste alle manager pubbliche (poche a dire il vero), ma forse non sono loro le donne cui parlare in maniera privilegiata sul tema età pensionabile, perché indubbiamente hanno qualche difficoltà in meno delle normali impiegate, funzionarie ecc. Le donne interessate dalla traduzione in nuove regole previdenziali della sentenza della Corte di giustizia, secondo alcune stime, dovrebbero essere circa 32mila, e scusate se dettaglio ma parliamo non soltanto di impiegate, ma di infermiere, di educatrici, di assistenti sociali, o di quelle pazienti donne che vengono a fare assistenza domiciliare ai nostri anziani ammalati ecc. La ragione per la quale si provvederà ad equiparare l’età pensionabile è appunto, secondo la sentenza, la discriminazione nei confronti degli uomini. Parità quindi, uomini e donne in pensione alla stessa età. Si interviene sulle statali perché il datore di lavoro è lo Stato, e l’Europa potrebbe multare il Paese, ma difficile pensare che non si aprirà una strada simile anche per il privato.
Non desidero comunque intervenire in questa riflessione sul tema isolato età pensionabile, tema complesso e oggetto di tanti cambiamenti. In più occasioni abbiamo detto, discusso, contestato l’orientamento del Governo, ma oggi anche io sono per dire: ok ragazze, allora facciamo sul serio. Ed allora, però, che parità sia… ma appunto sul serio. Parità non nei dibattiti da salotto televisivo, da discutere in raffinati – e qualche volta poco comprensibili ai più – confronti filosofici, ma parità con i piedi per terra. Parità capace di riscrivere un patto sociale e di “governare” i cambiamenti, parità capace di evolversi in democrazia paritaria ed in cittadinanza di genere, di riconoscere che uomini e donne sono differenti e che devono avere pari chance di accesso ovunque.
Dice Alessandra Bocchetti: “in questa società c’è ancora da registrare la presenza vera ed intera delle donne”. Quella interezza è però necessario metterla in campo con forza e da protagoniste, senza farcela raccontare più di tanto da osservatori e sociologi. Mostriamola, per favore! Come farla vedere ai più? Beh, a me piacerebbe molto che lanciassimo ed organizzassimo un grande sciopero del lavoro di cura che le donne svolgono ogni santo giorno. Per un giorno, due, per una settimana? Smettiamo di accudire i bambini, di accompagnarli a scuola, di lavare, stirare e cucinare, di assistere gli anziani, insomma di assolvere a tutte quelle attività che tutt’ora ricadono in massima parte sulle spalle di noi donne. E facciamo due calcoli in termini di costi e di Pil, in termini di reti di supporto alle famiglie, di welfare.
Non lo dico con il sapore della rivalsa, ma con la capacità di leggere con occhi non neutri la quotidianità. La parità e la differenza sono concetti complessi, ma possono essere molto, molto concreti, vanno declinati nell’universo dei diritti e della quotidianità, hanno a che fare con i servizi, con il sapere e con il potere. Buttiamolo quindi via, se viene meno, quel patto che abbiamo accettato e che ci ha consentito di andare in pensione qualche anno prima, ma scriviamone uno nuovo, al passo con i tempi, con la crisi e con le sentenze della Corte di giustizia. Scriviamolo e facciamolo sottoscrivere, alla politica, al Paese, agli uomini, all’economia. Scriviamolo noi ed avviamo, care donne italiane, lo stato di agitazione.