In questi giorni mi sono tornati continuamente in mente i tempi del mio primo impegno in politica. In modo particolare l’avvento di Gorbaciov; l’emergere di nuovi possibili scenari di pace nel mondo con il superamento dei blocchi contrapposti; il crollo del muro di Berlino; Chernobyl e il referendum contro il nucleare. Erano anni di cambiamento, di mobilitazione, di grande ed appassionata discussione, ma anche di nuove speranze per il mondo intero.
I giorni nostri ci consegnano nuovi e vecchi temi, drammatici: la tragica vicenda del Giappone, la violenza degli eventi e la conseguenza sui reattori della centrale nucleare di Fukushima, l’evoluzione dei moti di protesta verso il regime libico. Scenari diversi, che mettono sul tavolo tanti interrogativi su questa nostra epoca, sui nuovi imprevedibili scenari che riguardano l’umanità e quindi ognuno di noi, sul ruolo quasi inesistente del nostro Paese.
Impossibile non misurare l’abissale distanza fra i popolari, sentiti e partecipati festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, le ovazioni che ovunque hanno accompagnato la presenza del Presidente Napolitano, e le parole, le immagini, le non scelte, l’arrancare di questo nostro Governo dentro ai più recenti avvenimenti.
L’Europa ed il mondo, dopo l’incendio ed il rischio di fusione in una delle centrali nucleari in Giappone, (Fukushima non era tra le centrali di ultima generazione ma era comunque ritenuta tra le più sicure), si fermano a riflettere sul nucleare, bloccano nuovi investimenti, si orientano a maggiori investimenti sulle energie rinnovabili. Nel nostro Paese il Ministro Romani vara un decreto che blocca il sistema degli incentivi, riuscendo in pochi giorni a mandare in tilt uno dei pochi settori che in questi anni ha attratto investimenti, ha visto nascere nuove imprese, sviluppando competenze di alto livello e sostenendo l’occupazione. Le prime dichiarazioni del ministro Prestigiacomo sono state a dir poco imbarazzanti, per poi giungere, con una vera e propria inversione di rotta, ad annunciare nei giorni scorsi la moratoria per un anno e la generica disponibilità di Romani a rivedere il decreto sulle rinnovabili.
Sulla vicenda Libia, in queste ore Camera e Senato stanno discutendo sul ruolo dell’Italia nell’ambito delle risoluzioni adottate dall’Onu (n. 1970 e n. 1973). Per chi considera valori fondamentali la pace e i diritti civili, non è mai facile vivere con agio simili passaggi. Per lo meno non è così per me che, pur comprendendo, non posso non fare i conti con i dubbi e gli interrogativi. Ho però alcune certezze: la prima è che l’uso della forza, anche sotto l’egida di una risoluzione Onu, testimonia sempre la sconfitta della politica, delle diplomazie, del confronto, della mediazione. La seconda è che, se non ci fosse stato l’intervento francese a Bengasi, ci sarebbe stata una carneficina. Il Pd ha fatto bene a votare nelle commissioni esteri e difesa a favore dell’impegno italiano dentro ai confini della risoluzione, e proprio a quella risoluzione si ispira la nostra mozione di queste ore.
Leggo commenti, sento la distanza e la preoccupazione di tante persone che mi scrivono, che intervengono sui social network. Come non ascoltarli? Le bombe e gli interventi militari non sono facilmente digeribili. Vorrei però ricordare a tutti che la violenza e le morti non sono iniziate con i bombardamenti di una settimana fa, tutt’altro. Gheddafi ha represso nel sangue in Libia quei moti che in Tunisia e in Egitto (certo non senza rischi e difficoltà) stanno cercando uno sbocco democratico. I morti e la repressione erano in atto da settimane, mentre da anni si verificavano violazioni dei diritti civili (certamente poco denunciate dalla comunità internazionale per il prevalere di interessi economici). La fine del bilateralismo in politica internazionale ed il tramonto di un ruolo Usa come “gendarme del mondo” consegnano necessariamente ad ogni Paese e all’Europa intera maggiore responsabilità nel gestire le situazioni internazionali che riguardano i confini di casa nostra e la violazione dei diritti umani. E qui potremmo e dovremo aprire una riflessione seria sull’Europa…
Noi del Pd ci siamo comunque presi le nostre responsabilità, scegliendo di non ignorare la domanda di democrazia di una giovane generazione che ha preso in mano la propria vita alla ricerca di un futuro. Noi lo abbiamo fatto. Il Governo è passato dai baciamano all’immobilismo, allo scontro dentro alla stessa maggioranza, per giungere ad un testo in aula confuso ed ambiguo.
Nel frattempo freme il lavoro sui temi della giustizia a tutela del Premier, l’economia stenta, cambia ancora una volta il Ministro dell’Agricoltura nell’imbarazzo generale per i procedimenti giudiziari che lo riguardano. E l’Italia, davanti al mondo e all’enormità degli sconvolgimenti in atto, appare piccola piccola…..
A maggio si voterà in molte città, poi ci saranno i referendum. Ovunque abbiamo sventolato e visto sventolare il tricolore, sentendo i segnali di una ritrovata dignità nazionale. Diamogli linfa, diamogli forza: ci meritiamo altro rispetto all’indecoroso spettacolo cui stiamo assistendo.
Susanna Cenni