Anche a Siena, come in tutte le città universitarie italiane, è andata in scena la protesta contro la riforma Gelmini. Intanto in Parlamento la discussione si svolgeva in un clima surreale, con una maggioranza che, come ha detto Franceschini, pur non esistendo più né politicamente né numericamente voleva comunque imporre una riforma al mondo dell’università. 170 le norme contenute ne testo all’esame del Parlamento, che diventeranno più di 500 con le deleghe e che richiederanno 1.000 regolamenti da parte degli atenei. Proclamare l’autonomia e poi approvare una legge ipercentralista, fatta solo di tagli, è l’ennesimo alibi, l’ennesimo slogan propagandistico.
Col Governo Berlusconi l’università ha subito solo tagli: dall’Alitalia, finanziata con l’eliminazione del fondo per la ricerca, istituito nel 1982; al taglio di 1,3 miliardi, con il decreto-legge n. 112 del 2008; ai 476 milioni di euro tagliati all’Università per coprire il taglio dell’Ici ai redditi più alti. Meno risorse con la manovra estiva per le retribuzioni del personale universitario con il blocco degli stipendi, meno un miliardo e 76 milioni al fondo di finanziamento ordinario, rifinanziato soltanto con 800 milioni; e l’elenco potrebbe continuare.
L’università ha bisogno di una riforma vera, non norme che non risolvono i problemi e aggravano i ritardi. Il Partito Democratico ha presentato 230 emendamenti di merito, di cui 220 bocciati dal centrodestra senza nemmeno discuterli. I nostri emendamenti sono tutti passi concreti, coperti finanziariamente, che disegnano una visione alternativa dell’università: borse di studio, residenze universitarie, sblocco del ‘turn over’ e ricambio generazionale, no al precariato, contratto unico formativo di ricerca, progressioni basate sul merito e infine autonomia vera, con regole trasparenti sulla ripartizione delle risorse all’università sulla base del numero di studenti, della valutazione di ricerca e didattica, della coesione territoriale. Soprattutto l’università ha bisogno di uno Stato che voglia investire sul futuro, per non bruciare l’unica risorsa che abbiamo, cioè le nostre intelligenze, il nostro capitale umano.